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A Ciambra – Jonas Carpignano

Scelto come rappresentante italiano per la costa al miglior film straniero agli scorsi Oscar nonché coprodotto da Martin Scorsese, A Ciambra racconta le vicissitudini dell’omonimo campo Rom di Gioia Tauro, filtrate dallo sguardo del giovanissimo Pio, preadolescente membro di una numerosa famiglia che vive di espedienti (principalmente furti di automobili e in appartamento). Analfabeta, schivo, ma con tanta voglia di crescere, Pio inizia a dedicarsi a una serie di lavori in proprio, in collaborazione con l’amico africano Ayiva, sorta di fratello maggiore (o secondo padre). Saranno poi le altalenanti relazioni della famiglia di Pio con un clan calabrese a condurre la vicenda al suo epilogo.

Il regista, Jonas Carpignano, entrato in contatto – per vicende private – con il campo Rom, decide di realizzare un film in cui elementi di finzione e realtà si mescolano continuamente (la famiglia di Pio è in effetti una vera famiglia romanì calabrese). A colpire, oltre al fenomenale idioma rom-calabrese parlato nel campo, è la potenza quasi documentaristica delle immagini, che gettano luce su una realtà complessa. Carpignano riesce nell’impresa di evitare un discorso sterilmente retorico (e manicheo), non arretrando di un passo nel raccontare lo stile di vita di una comunità il cui forte legame intra moenia conduce a una guerra permanente (o apparentemente diplomatica, come con gli italiani) con tutto ciò che sta al di fuori: la forza della famiglia di Pio (l’unità, i momenti di tenerezza, il senso di appartenenza) diventa così anche debolezza (sfiducia verso il prossimo, incapacità di dialogo, chiusura ermetica dei propri orizzonti). Pio, inserito in una tale geografia dell’esclusione, sembra – unico della sua famiglia – mantenere un legame con l’esterno, che si rivelerà presto essere però troppo debole.

Degne di menzione sono poi alcune sequenze oniriche a cui è affidato il difficilissimo compito di mostrare le radici del popolo romanì, le quali affondano in un nomadismo divenuto leggendario, capace, come spesso accade nei più svariati ambiti della storia della cultura, di fornire un vero e propria mitologema identitario: Pio sogna i propri antenati, la loro lotta per la sopravvivenza, il loro ostinato senso della libertà e cerca, quasi inconsapevolmente, di farli transitare nel proprio personale coming of age.

Girato con modalità documentaristiche (insistito uso della camera a mano, senso ‘naturalistico’ per l’inquadratura), e intervallato da sequenze che richiamano al contrario il thriller, A Ciambra è un film atipico, originale. La lentezza della vicenda, il suo non dipanarsi in sequenze soltanto narrative, costituisce il suo punto di forza (insieme al finale amaro): nell’intervallo tra le vicende si raggiunge infatti un rigore quasi entomologico, fondamentale proprio perché resiste alle alternative forme del giudizio morale e della sua semplificazione retorica.

di Giulio Piatti

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