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Good time – Benny Safdie, Josh Safdie

Dopo il fallimento di un maldestro tentativo di rapina in una banca, due fratelli si ritrovano inseguiti dalla polizia. Constantine riesce a scappare ma Nick, il fratello minore, affetto da un ritardo mentale, finisce in manette. Constantine sa che Nick non può sopportare il carcere e tenta di liberarlo il prima possibile. Quando capisce di non essere in grado di trovare abbastanza soldi per la cauzione, decide di farlo fuggire. Comincia così una lunga ed estenuante nottata in cui Constantine si ritroverà a stringere alleanze poco raccomandabili in un’inesorabile precipitare verso la rovina ed il fallimento per ritrovarsi inevitabilmente a fare i conti con se stesso.

I fratelli Safdie lavorano insieme come registi e sceneggiatori da quasi un decennio ormai e sono riusciti a crearsi una reputazione di autori grazie a film come Lenny Cooke e Heavens knows what, acclamati dalla critica durante festival importanti come quelli di Cannes e Venezia. I registi hanno dimostrato nel corso della loro carriera di voler innanzitutto raccontare delle storie di esseri umani non necessariamente straordinari né eroici, delle storie vere con personaggi veri, e per farlo non hanno esitato ad intrecciare lo stile documentario a quello della fiction e del biopic per creare dei film intimi e profondi su persone che si potrebbero incrociare per strada tutti i giorni senza mai notarle.

Ed è certamente anche il caso del personaggio di Constantine, ben sviluppato e sfaccettato, che è innanzitutto un antieroe e un outsider. Compatiamo i suoi affanni, capiamo le difficoltà che ha dovuto affrontare, la mancanza di alternative ed aiuti validi nonché il ruolo di protettore che ha sentito la necessità di assumersi nei confronti del fratello, ma dall’altra parte vediamo anche un ragazzo egoista che ha paura di trovarsi da solo, che preferisce fingere di poter gestire i bisogni del fratello piuttosto che ammettere di non essere all’altezza delle sue necessità, che ritiene normale coinvolgere un ragazzo disabile nel suo piano da criminale da quattro soldi. Questa ambivalenza pervade l’intero film e dimostra come i registi non vogliano spingere il pubblico ad un giudizio facile o ad etichettare un’azione come giusta o sbagliata. La fotografia del film, ambientato prevalentemente di notte, è affidata ancora una volta a Sean Price Williams che riesce a riportare in maniera visibile e tangibile proprio l’idea di ambivalenza che gli autori vogliono trasmettere grazie ad un uso poetico e coraggioso di luce e colori. In questo film il binomio tra guardie e ladri non funziona, non ci sono eroi da una parte e criminali dall’altra, ma solo persone diverse con storie diverse che cercano di fare del loro meglio per sopravvivere con ciò che conoscono.

di Alessia Gasparella

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