Cerca
cropped-favicon.png
Cerca
Close this search box.
Lapelledellorso

La pelle dell’orso – Marco Segato

 

Quando ancora c’erano le lire e si giocava a carte nei bar: questo è il tempo in cui è ambientata la storia de La pelle dell’orso. Anni cinquanta, in un piccolo paese delle Dolomiti: Pietro Sieff (Marco Paolini), uomo rugoso e barbuto, consumato dai tormenti e dal vino, durante una partita a carte, scommette 600 mila lire con il suo principale Crepaz (Paolo Pierobon) che catturerà il diaol (diavolo), un vecchio orso feroce che da anni minaccia la vallata. In caso di sconfitta, lavorerà gratuitamente per un anno intero. L’uomo parte per la montagna, fucile e zaino in spalla, l’indomani mattina, senza neppure salutare il figlio Domenico (Leonardo Mason), quattordicenne taciturno e schivo, vittima delle prepotenze e delle inquietudini del padre.

L’occasione per racimolare qualche soldo che Pietro aspettava da tempo, si rileva essere l’occasione “della vita” per recuperare i rapporti col figlio che, appena saputo della partenza del padre, decide, zaino e fucile in spalla, di seguirlo nei boschi. Inizierà così per Domenico un vero e proprio viaggio iniziatico tra il presente minaccioso della natura e il rassicurante e malinconico passato raccontato da Sara (Lucia Mascino), rude ma affascinante “montanara” che il ragazzo incontra sulla sua strada, amica intima della madre defunta, che gli racconta le loro avventure giovanili. Nel poco tempo trascorso assieme, l’adolescente trova nella donna non solo una compagna di cammino ma anche e soprattutto una figura materna, l’unica capace di elargire un sentimento che assomigli all’affetto, attraverso piccoli sorrisi e buffi tentativi di un contatto fisico che non s’identifichi con gli schiaffi che riceve dal padre. Quando finalmente Domenico rintraccia il genitore, è ormai stato educato per affrontarlo, sicuramente per avvicinarlo, forse per comprenderlo. Padre e figlio riescono così anche, seppur per brevi istanti, a sorridere insieme mentre si lavano nelle fredde acque del fiume. L’alternativa alla violenza fisica del padre, reiterata nella prima parte del film, sembra configurarsi nella fisicità dei corpi semi-nudi a contatto con l’acqua, gesti di pulizia accompagnati sempre (anche nel caso di Sara che si lava nuda, dando le spalle a Domenico) dal riso e dallo scherzo.

Tratto dall’omonimo romanzo di Matteo Righetto, il film è il primo lungometraggio del regista Marco Segato che, dopo la lettura dell’opera dichiarò di aver trovato finalmente il soggetto ideale per raccontare la sua storia, quella di un viaggio al contempo fisico e spirituale. Per comprendere appieno il significato dell’opera, niente pare più azzeccato della frase dello scalatore americano Royal Robbins, riportata sulla locandina del film: “Le montagne restano immobili, siamo noi che dopo un’avventura non siamo più gli stessi.”

 

di Carolina Zimara

Correlati