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Morto Stalin, se ne fa un altro – Armando Iannucci

La resa della traduzione italiana de The Death of Stalin è davvero evocativa: si comprende sin da subito (merito dell’assonanza con il conosciutissimo detto popolare riferito alla figura del Papa) la grande corsa al rimpiazzo che caratterizza l’avvicendarsi di personaggi e situazioni esilaranti, dando colore e spessore alla trama del film del pungente regista scozzese di origini italiane. Un colore dalle tinte scure, al limite tra comicità, satira, ricostruzione storica, fantasia ed eccessi.

Lo humor di fondo è, infatti, sia nero che volutamente british, come sottolinea lo stile della recitazione assunto sullo schermo dai grandi attori chiamati in causa. Ripercorrendo le descrizioni dell’omonimo graphic novel francese di Fabien Nury e Thierry Robin, Iannucci porta in scena la fine di un’epoca e gli sporchi intrighi che hanno regolato la follia del regime totalitario di Stalin, parlando attraverso le azioni di personaggi ridicoli che cercano il loro momento di gloria mentre approfittano degli eventi: dai soldati burattino ai funzionari di Stato, indecisi tra fedele sottomissione e ardente desiderio di sovversione e riscatto; senza parlare dell’atteggiamento dei figli dello stesso tiranno, Svetlana e Vasilij, che sembrano rimasti bloccati nella realtà di un’infanzia vissuta nella bambagia.

Stalin viene presentato come un politico arrogante che tra, purghe sociali, film western e pretese al limite del possibile, appare più come un ragazzino spaccone di un istituto superiore dei giorni nostri che una figura carismatica di riferimento per la sua patria. Muore, infatti, dopo aver redatto l’ennesima lista di deportazioni e omicidi a causa di un’emorragia cerebrale in una fredda notte russa di marzo, nel 1953.

I suoi migliori collaboratori, quindi, presi dal panico e dall’assenza di medici competenti (spediti precedentemente senza troppi complimenti nei gulag), si comportano come graziose oche giulive e organizzano una smaniosa scalata al potere, al posto di mettere in piedi una sentita commemorazione.

L’obiettivo di Iannucci, espresso da dialoghi serrati, scorretti e conditi da un’inclinazione al turpiloquio, è quello di ridicolizzare l’élite bolscevica e di stigmatizzare le dinamiche che ne hanno assicurato la feroce affermazione nell’Unione Sovietica per lunghi decenni.

di Eleonora Bonadé

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