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Nico, 1988 – Susanna Nicchiarelli

Apertura di Orizzonti dell’ultima Mostra di Venezia, Nico, 1988, diretto da Susanna Nicchiarelli (Cosmonauta, La scoperta dell’alba), è il racconto doloroso, a tratti spezzato, a tratti abbagliante, degli ultimi due anni di vita di Christa Päffgen, nota come Nico. Anni in cui è stanca della musica ma ne ritrova l’essenza, guarda a sé stessa e a suo figlio.

Un viaggio nell’ultima tournée tra Parigi, Praga, Norimberga, Manchester, la campagna polacca e il litorale romano in cui la danese Trine Dyrholm (Orso d’argento per la migliore attrice a Berlino nel 2016 per La comune di Thomas Vinterberg) – nata come cantante e poi attrice feticcio di Susanne Bier e Thomas Vinterberg – fa rivivere l’artista-icona Nico interpretandola con la sua voce e trasformandosi fisicamente. Dopo aver avuto l’esperienza con i Velvet Underground, musa di Warhol, donna dalla bellezza leggendaria ed essere stata accostata solo agli uomini con cui è stata: Brian Jones, Jim Morrison, Bob Dylan, Alain Delon (che non ha riconosciuto il figlio), Iggy Pop, Nico vive una seconda vita quando inizia la sua carriera da solista. Si libera del peso della sua immagine a quasi cinquant’anni, cerca di ripulirsi dall’eroina, si esibisce con poco pubblico, ma perfeziona la sua poetica d’artista trovando tutta la sua “purezza”. Un cuore svuotato che parla attraverso canzoni piene d’amore intonate con la sua voce cavernosa e inconfondibile, arrochita da milioni di sigarette che influenzeranno tutta la produzione musicale successiva. È la storia di una rinascita, di un’artista, di una madre, di una donna oltre la sua icona.

Quando si parla del binomio genio e sregolatezza, è facile cadere in cliché e patetismi, ma il ritratto costruito da Susanna Nicchiarelli e da Trine Dyrholm ci mostra una Nico ancora in grado di trasmettere passioni e struggimenti in un percorso di “riconciliazione” con l’esistenza per cui si citano i versi di William Wordsworth. Seguiamo pertanto Nico, la sua band e il suo ristretto entourage fra concerti, baruffe, “spaghettate” notturne” in un implicito ma continuo confronto con il passato. Un confronto che la regista non esprime con il flashback, ma sfruttando le sfumature dell’infanzia trascorsa in una Berlino sotto le bombe o le immagini di Andy Warhol e di Nico da giovane.

Un film solido, empatico, sensibile legato a una Trine Dyrholm in stato di grazia: a lei bastano infatti sguardi e movenze per restituire l’intransigenza, i demoni interiori e la sferzante ironia della sua protagonista.

Era lecito dubitare del film perché Nico è uno di quei miti musicali che sostanziano la leggenda stessa della musica, intoccabili e inavvicinabili, ma Susanna Nicchiarelli pensa piuttosto a far emergere un personaggio al di là del volto, al di là della superficie da rockstar: un fondo di disperazione totale, che non arriva tanto dal fallimento esistenziale della donna, quanto dal fallimento dell’esistenza tutta.

di Alexine Dayné

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