La ricerca di identità attraverso memoria e fantasia.
Vincitore del premio del pubblico al Festival del Film D’Animazione di Annency 2012 e Menzione Speciale al 30° Torino Film Festival, Couleur de peau: miel è un interessante e delicato film ibrido tra animazione e live action, adattato ai primi due tomi della graphic novel omonima che ha realizzato lo stesso autore di fumetti Jung anche grazie al sostegno del documentarista Laurent Boileau. Jung, ormai adulto, ripercorre la propria storia da quando parte per la Corea del Sud all’età di sei anni e viene trasferito in Belgio, accolto da una famiglia già numerosa. Un viaggio di andata e ritorno verso il proprio paese natale per permettere alla propria identità di completarsi e tentare di conciliare finalmente il passato con il presente. Ed è proprio il percorso che Jung affronterà in Corea del Sud che permetterà di potersi confrontare su diverse forme di linguaggio visivo e non solo sul documentario come l’idea di partenza richiedeva. E così Jung, come più di 200 000 bambini coreani di quell’epoca – siamo negli anni sessanta, dopo la fine della guerra di Corea e sono proprio le immagini d’archivio in bianco e nero che ci documentano la Storia – viene abbandonato e raccomandato per l’adozione. Nel nuovo nucleo famigliare, in cui ci vengono mostrate delle immagini amatoriali in Super 8, il bambino inizia una nuova vita che ha difficoltà a elaborare, soffre dello sradicamento delle proprie origini e per cui neanche i genitori sanno bene come comportarsi. Ed è proprio l’animazione, armonioso mix di disegni in 2D e 3D con colori caldi illuminati, in dominante ambrata, che diventerà protagonista e farà da filo conduttore alla formazione del bambino per trasfigurare la storia “reale” in un mondo di memoria, fantasia e sogno. Il ragazzino non riesce ad integrarsi con il modello della famiglia belga perché nei primi cinque anni di vita ha vissuto per sopravvivere attraverso l’arte dell’arrangiarsi.
Dopo il film d’animazione di Mariane Satrapi, si ritorna a parlare della sofferenza che provano le persone in esilio e che solo dopo aver negato la propria origine, si riescono ad accettare, ma tra le due opere si evidenziano stili opposti: Persepolis è in bianco e nero con lampi di colore e un segno più incisivo e autoritario, mentre quest’opera ha delle linee più dolci e arrotondate con degli inserti in acquarello grigio e bianco che rendono l’atmosfera più tenera e dolce.Dal dialogo più intimo con la sorella Coralie, si sente il disagio di Jung di essere diverso, di avere su di sé un’altra pelle: color miele come descrive la sua carta d’identità. Sarà proprio per cercare di fondersi con la sua attuale famiglia e in particolar modo con la madre, che egli tenta in ogni modo di rimuovere le sue origini coreane. Ed è proprio con lei che Jung ha il rapporto più ambivalente, ha così bisogno di amore che non riesce a farsi amare. Da questo rapporto, scaturiscono i ricordi più dolorosi del suo passato e dell’orfanotrofio, immagina la sua madre naturale “senza volto” e con abiti orientali, è svegliato da incubi che lo terrorizzano e che gli svelano di essere un bambino cattivo. Continua così il suo percorso di ribellione e il rifiuto delle sue origini, inventando di essere un giapponese, e solo attraverso l’arte del disegno, sfugge dalla realtà per fantasticare i suoi eroi e rifugiarsi in un mondo di protezione.
Dopo un’adolescenza che arriva a conflitti interiori estremi e quasi all’autodistruzione, il ragazzo troverà la serenità e il proprio equilibrio attraverso l’affetto e la comprensione della famiglia adottiva e il processo di accettazione si concretizzerà anche grazie anche al ritorno verso le proprie origini. Un film poetico e commovente, che seppure di grande spessore, perché oltre a narrare l’autobiografia di Jung, ritrae uno spaccato storico dell’adozione, quando ancora non veniva affrontata la tematica con chiarezza su come ci si doveva comportare tra famiglia adottiva e adottato, fa emergere dei tratti giocosi e divertenti. Anche la voce off di Jung permette di alleggerire e smorzare tematiche e aneddoti molto profondi e toccanti. Un percorso di formazione che porterà il ragazzino ad accettare la sua famiglia, senza rinunciare alla propria identità.
Alexine Dayné