venerdì 8 febbraio proiezione #5 – il testo

Due anime solitarie tra malinconia e umorismo.

 

Una musica semplice e veloce al pianoforte ci avvia a questo brillante lungometraggio realizzato con la tecnica della clay animation,a passo uno, che consiste nel creare personaggi e sfondi tramite sostanze malleabili come la plastilina, e riprende le immagini singolarmente dopo aver modificato, di volta in volta, le posizioni degli elementi nella scena. Può ricordare Wallace e Gromit nelle sole forme esteriori e i burtoniani Nightmare Before Christmas e La sposa cadavere in alcuni momenti dark, ma in particolare Mary and Max ci conferma il ruolo sempre più importante del cinema d’animazione nell’affrontare tematiche della vita delicate e complesse, trasfigurandole sotto forma di racconto o fiaba, senza trascurarne la profondità.

Sui titoli di testa, scorrono le immagini di una cittadina che è MountWaverley, nei sobborghi di Melbourne, dove ci sono indumenti e scarpe appesi ai fili, statue e pupazzi ovunque e dove l’estate australiana viene dipinta da colori terrosi come anche marrone è la voglia che ha sulla fronte la protagonista Mary, bambina di otto anni che desidera avere un amico vero e non solo un gallo da compagnia.

Film d’apertura al Sundance Festival 2009 e vincitore ex-aequo con Coraline e la porta magica del premio per il miglior lungometraggio al Festival International du Film D’Animation d’Annecy 2009, questa storia che si apre attraverso una voce narrante ci descrive due esseri che seppure separati, riescono a confrontarsi e a reprimere la loro solitudine.

I due personaggi solitari si incontrano grazie allo scambio epistolare che avviene per caso e che continuerà per circa vent’anni. Mary scriverà la sua prima lettera a Max Horowitz, americano di quarantaquattro anni, in quanto ha bisogno di ricevere delle risposte alle domande che lei ingenuamente pone. Max vive invece, nella grigia e nera New York invernale, città che si sviluppa di incontri e che rispetto al silenzio senza speranza e l’anonimia della periferia australiana è piena di traffico, ma paradossalmente anche in questo aspetto, i due mondi si accomunano.

Seppur la diversità sembri immensa, la distanza di spazio e tempo anagrafico e i rispettivi problemi relazionali, l’inchiostro permette l’ascolto, la comprensione e quindi un modo per essere presenti l’uno nella vita dell’altra e viceversa. Tra i due sconosciuti inizia un rapporto di confidenza tale da poter affrontare le difficoltà della vita di tutti i giorni con la speranza di sentirsi poco a poco più sicuri di sé stessi, ma allo stesso tempo l’attesa della risposta sfalda la convinzione di aver trovato un amico e suscita incertezza.

Dalle loro lettere che diventano un dialogo interno dei personaggi durante la scrittura o la lettura del carteggio – voci celebri di Toni Collette e Philip Seymour Hoffman che prestano i loro timbri a Mary and Max – emergono sentimenti universali come l’amicizia e l’amore e anche tematiche dolorose e profonde come le fobie, gli attacchi d’ansia, le nevrosi, le depressioni e la scoperta della Sindrome di Asperger che il personaggio maschile possiede, Disturbo Pervasivo dello Sviluppo che si definisce come autismo ad “alto funzionamento”. Attraverso la macchina da scrivere, ammiccamento alla celebre gag di Jerry Lewis, Max parla della sua vita a Mary, della difficile infanzia ebrea, delle diverse religioni, dei lavori saltuari che ha dovuto svolgere perché era stato ricoverato per instabilità mentale ed infine dell’interrogatorio della polizia in quanto si pensava che poteva essere un pericolo, ma come dice lui era solo una “minaccia per se stesso”. La difficoltà per Max sta proprio nel relazionarsi con una città in movimento, piena di luci e folla, e con le persone umane con cui non riesce a rapportarsi, ma che crede molto interessanti. Con Mary riesce ad avere fiducia e a esprimersi in maniera spontanea senza avere da lei nessun giudizio. Anche se i discorsi di Max sono di diversa portata per una bambina, lei ne capisce il senso, ha voglia di essere sua amica e di poter condividere con lui tante passioni, come il loro cartone animato di pupazzi preferito, i Noblet, e i dolci.

Lo scambio epistolare non così costante, interrotto ad un certo punto da diversi fattori tra cui il non sapere che cos’è l’amore per Max e il rifugiarsi nel cibo, fa ritornare sul volto di Mary la tristezza quando prima aveva il sorriso ogni volta che l’amico le inviava le sue parole.

Un film dall’umorismo sottile, inaspettato, a volte pungente, amaro, leggermente sarcastico, ma intriso di un’atmosfera sempre pura ed innocente, perché con genuinità i due protagonisti osservano e cercano (inutilmente) di capire i loro rispettivi mondi.

Alexine Dayné