proiezione #10 venerdì 12 aprile – il testo

L’uomo, la vita, l’identità: “tout est à réinterpréter”

Quando, in uno dei momenti (molti) determinanti della storia, la fidanzata di Laurence, il protagonista, afferma con una solennità dal sapore tragicomico “é tutto da reinterpretare” si prova subito uno spontaneo benché forse un po’ ingenuo senso di condivisione; si ha l’impressione che la scioccante rivelazione appena sentita possa essere immediatamente compresa, rielaborata e digerita senza nessuna particolare ritrosia od ostilità psicologica. La questione si pretende sia molto semplice, a seguito della quale si richiede all’altro niente di più che un segno constativo di risposta del tipo: “ok..ti ho riconosciuto e amato in quanto uomo, da ora ti riconoscerò e amerò comunque, in quanto donna”. Compaiono così quelli che secondo me sono i pilastri che sostengono tutta la struttura narrativa del film, coincidendo anche con alcuni dei punti teorici più importanti che costituiscono il dibattito contemporaneo sulle diverse forme di identità sessuale : il riconoscimento dell’altro nella sua specifica, nuova costituzione identitaria e la possibilità di mantenere o ristabilire proprio in virtù di ciò un legame autenticamente emotivo e affettivo.

 E’ abbastanza chiaro che il film focalizza molto di più la sua attenzione su quest’ultimo tema. Questo, che potrebbe di primo acchito sembrare un limite, non tanto dal punto di vista narrativo quanto piuttosto da ciò che costituirebbe il suo spessore teorico, si rivela in realtà il suo punto di forza. La scelta, consapevole e magistralmente calibrata, di impostare e inscrivere il discorso sul genere, e su come questo determini l’identità del soggetto che non si riconosce nella combinazione mimetica tra sesso e genere, entro un linguaggio il cui alfabeto consiste di immagini vivide e di vera poesia, fatte di ricordi, emozioni non rielaborate, illusioni, rancori, riconciliazioni, rigide razionalizzazioni non solo fornisce all’opera un grande potenziale estetico che ricorda, anche grazie ad alcuni ammiccanti riferimenti, la creatività esplosiva di Rimbaud ma centra comunque appieno l’obiettivo più strettamente teoretico, quello di offrire una possibile chiave di lettura per un fenomeno così complesso come quello del transessualismo.

 Facendo soltanto la banale quanto fondamentale rilevazione del fatto che questa è un’ opera d’arte pensiamo subito che l’ingenuità mostrata da alcuni comportamenti dei personaggi, cui si faceva riferimento all’inizio, la discutibile conformazione fisico-estetica che di Laurence viene data nel corso della sua metamorfosi e la mancata tematizzazione di alcune fondamentali questioni, come per esempio quella dell’accettabilità sociale o il cambiamento psico-emotivo che un soggetto in questi casi deve affrontare non sono passibili di nessun biasimo, più che legittimo qualora si stessero elencando le dimenticanze o le superficialità di un documentario sull’argomento, ma non è ovviamente questo il caso. D’altronde, sarebbe assurdo sostenere che ciò che dice Michel Foucault o qualsiasi altro teorico che si occupi dell’argomento con modalità non artistiche abbia più valore rispetto a quello che può dire in merito qualcuno come Jean Genet.

 Enrico M. Zimara