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il cittadino illustre

Il cittadino illustre – Gastón Duprat

Il film si apre nella città di Stoccolma, con l’inquadratura di un uomo brizzolato che si tiene la testa tra le mani, seduto in quello che sembra essere un elegante foyer; in sottofondo, la voce rimbombante di un presentatore annuncia “un autore unico, che per vent’anni nei suoi libri ha dato sfogo alla fantasia”. L’uomo brizzolato finalmente si alza: è Daniel Mantovani (Oscar Martínez, in una sorprendente performance attoriale, premiata con la Coppa Volpi) e sta per ricevere il Premio Nobel per la letteratura. Seppur il romanziere argentino ritiri con piacere il premio, il suo discorso di ringraziamento è oltremodo singolare: il Nobel, afferma, sarebbe solo un riconoscimento al conformismo dell’artista che lo porterebbe, in definitiva, ad una sorta di mummificazione letteraria.

Le parole pronunciate in questa solenne occasione si riveleranno profetiche: dopo cinque anni, Daniel non ha ancora scritto niente di nuovo e gli inviti che riceve da ogni parte del mondo sono sistematicamente rifiutati. Tutti, tranne uno. Tra i numerosi inviti digitali, spunta un’unica lettera cartacea che lo invita a Salas, paese dove l’autore è nato e cresciuto ma soprattutto dal quale è fuggito ormai quarant’anni fa, costruendo, di fatto, la sua identità (e dunque la sua carriera) proprio sul rifiuto di quel luogo e di quella cultura. Una volta in Argentina, Daniel viene accolto trionfalmente: proclamato cittadino illustre, sfila per le strade della cittadina a bordo del camion dei pompieri, a fianco del concitato sindaco e della reginetta di bellezza, diventando così oggetto, suo malgrado, di una parata alquanto buffa, per non dire grottesca (di felliniana memoria). Così come risultano di una comicità altrettanto bizzarra, le successive manifestazioni d’affetto dei compaesani nei riguardi dello scrittore che proiettano rudimentali presentazioni in PowerPoint che ripercorrono la sua vita o interrompono l’intervista che lui ha concesso alla radio locale per pubblicizzare una bibita gassata del posto. È in queste colorite e bislacche manifestazioni, che emerge con evidenza la stridente rottura tra la solennità del Nobel e la semplicità degli abitanti di Salas. Proprio il tema scomodo e pungente del divario culturale tra il protagonista e i rustici concittadini, sembra, infatti, essere messo in scena in questa pellicola: presto la calorosa accoglienza iniziale, si trasforma, in alcuni abitanti, in disappunto (che sfocia anche in atti pubblici di aggressione) per il successo dell’artista che pare essersi arricchito servendosi anche delle vicende, perlopiù disgraziate, di alcuni personaggi del posto.

Proprio di questa opposizione fondamentale tra fantasia e realtà si discute nel finale dell’opera. Quanto importa se i fatti narrati dallo scrittore etichettato come “colui che maggiormente ha dato sfogo alla propria fantasia”, siano in realtà reali? E ancora, siamo proprio sicuri che si possa parlare realmente di una qualche forma di realtà nelle opere cosiddette di finzione? Non è forse più opportuno parlare d’interpretazioni che non di reali realtà? Le risposte allo spettatore.

di Carolina Zimara

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