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Ma loute – Bruno Dumont

E’ davvero molto strana la combinazione del digitale che allude al nostro mondo contemporaneo con l’epoca di inizio Novecento descritta in questo film e la caratterizzazione dei personaggi e dell’ambientazione che rimanda al primo cinema, il cinema delle origini o alla commedia italiana di Risi e Scola che riuniva due generi, il comico e il tragico allo stesso tempo. Forse invece non è per nulla bizzarra quest’associazione proprio perché il regista vuole ricreare un mondo totalmente folle, distanziandosi dalle sue prime opere naturaliste e partendo dal successo della sua divertente mini serie televisiva P’tit Quinquin.

Partendo da vecchie cartoline della Costa d’Opale, zona che Dumont conosce bene e in cui vive, si ricrea la vicenda al 1910, nel Nord della Francia, dove una baia diventa una palude con la bassa marea. Qui vivono i pescatori Brufort, gran lavoratori, silenziosi, fieri, cannibali e fondamentalmente selvaggi mentre sulla collina, in una villa neo-egiziana, vivono i ricchi Van Peteghem, amanti del bello, incestuosi ed isterici. Una netta divisione di classe rappresentata da attori non professionisti per quanto riguarda i poveri e dai riconoscibili Fabrice Luchini, Valeria Bruni Tedeschi e Julietti Binoche per i borghesi. E ad unire questi due mondi contrapposti c’è la coppia di investigastori Machin e Malfoy che tanto assomigliano a Stanlio e Ollio e devono scoprire le misteriose sparizioni e l’amore che nasce tra l’androgino Billie e il pescatore Ma Loute. Solo queste due figure rivelano uno stato di grazia, provano paura ed incertezza e vengono osservati nei loro silenzi. Anche se non si capisce se sono maschi o femmine, vediamo in loro la verità dei loro occhi e corpi, mentre tutti gli altri sembrano fatti di gomma o di legno che si spezza. Tutti continuamente inciampano e rotolano comicamente, in particolare il ciccione Machin che si muove facendo rumori da palloncino.

La recitazione dei ricchi personaggi è sempre sopra le righe, oltre il teatrale, per rimarcare l’ipocrisia di una nobiltà già all’epoca antistorica e decaduta. Di contro, i pescatori comunicano potentemente con la loro sola presenza dove i tratti somatici suggeriscono la natura ferina. La comicità fisica sempre presente e la deformazione fisica di Luchini funzionano in modo egregio come anche i dialoghi che si ripetono alla Ionesco danno quel tono divertente e burlesco. Un film che ci mostra la farsa in superficie e poco sotto, talvolta anche nello stesso momento, la tragedia con una certa bellezza che incornicia tutta la struttura. Forse però, portando all’estremo il grottesco e il surreale e la contrapposizione tra dramma e comico, alla fine il lato divertente si perde come la stessa fluidità del racconto. Mescolando gag, sottostorie e temi assurdi e insistendo sul nonsense, il film risulta manieristico, ma sono le immagini e gli scenari sofisticati, seducenti che prevalgono ad ammaliare lo spettatore.

di Alexine Dayné

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