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FERRO - COVER

FERRO di Alessio Zemoz

Nel 1975 Primo Levi scrive “il sistema periodico”: raccolta di ventuno racconti di matrice autobiografica dove la materia si fa chiave di comprensione del mondo. “Ferro” è uno di questi e ruota attorno a due elementi: l’amicizia con Sandro Delmastro e la passione per la montagna, tratteggiati in quello che è anche un ritratto generazionale poetico e politico.

FERRO, al cinema come in chimica, è un elemento esposto, vistoso e incapace di nascondersi. Un viaggio musicale di matrice documentaria, nel merito del territorio del comune di Sarre, che si prende, o forse si perde, tutto il tempo necessario allo spaesamento e al ritrovarsi: la giovinezza, la libertà, il provincialismo, la montagna, l’identità, il rituale, la tradizione. Ecco che la materia si fa chiave di comprensione della realtà, “vecchia come il Tutto e portentosamente ricca d’inganni […]”. Con atteggiamento contraddittorio e incerto, FERRO mette a fuoco una generazione alle prese con il rito di passaggio all’età adulta: un rito imperfetto, effimero e ingannevole, poetico e politico assieme d’iniziazione alla vita. E Qui, oggi, di fronte al Tutto, il ritratto intimo e surreale di una nuova classe, una classe di ferro appunto, di giovani uomini e giovani donne del nuovo millennio, Europei e montanari.

FERRO

una produzione – framedivision

regia – ALESSIO ZEMOZ

aiuto regia – MICHEL DOMAINE

immagini – ALESSIO ZEMOZ e MICHEL DOMAINE

suono – DANIELE PIERINI

editing – ALESSIO ZEMOZ

produttore – ALEXINE DAYNÉ

Film realizzato con il sostegno di Valle d’Aosta Doc-FF FilmFund – FilmCommission Valle D’Aosta

Più nel dettaglio, FERRO ha a che fare con la festa dei Coscritti, i nuovi giovani di maggiore età, e con il successivo, eventuale, ingresso nella ristretta e selezionata cerchia della Badoche. Il sito ufficiale del Comune di Sarre, luogo in cui è ambientato il film, descrive così la Badoche:

“[…] Derivante da antichi riti della Savoia, si è trasferita in Valle d’Aosta dove ha assunto connotati diversi. A Sarre, ancora oggi, un gruppo di giovani, rigorosamente celibi o nubili, (e residenti in alcune frazioni specifiche del comune [ndr]) nei giorni immediatamente precedenti la festa, percorre in corteo, accompagnato da fisarmoniche e sassofono, le strade del paese, raggiungendo tutti i villaggi del capoluogo, portando musica ed allegria, invitando la gente al ballo, ricevendo offerte di cibo e bevande.  Il responsabile della sarabanda porta una “alabarda” in legno, ornata da innumerevoli nastri colorati, che vengono appuntati dai genitori dei bambini nati nell’ultimo anno. Il giorno del patrono, sulla piazza principale del paese, nel pomeriggio, il capo della badoche dà il via alle danze per la popolazione. I primi tre balli sono messi all’incanto. Il maggior offerente riceve un simbolo della tradizione ed ha diritto a scegliere la dama con cui danzare senza dover condividere la piazza con altre coppie, di fronte alla popolazione riunita. Successivamente è il turno degli amministratori comunali, dei vecchi badochers, dei residenti nei diversi villaggi, degli abitanti dei paesi viciniori. Dopodiché il ballo viene aperto a tutti.”

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