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A Chiara

A distanza di quattro anni dalla sua ultima partecipazione, il regista italo-newyorkese Jonas Carpignano torna al Festival di Cannes, firmando con A Chiara il terzo capitolo della cosiddetta “trilogia di Gioia Tauro”, iniziata con Mediterranea (2015) e proseguita con A ciambra (2017), anch’essi presentati a Cannes. Vi è un filo conduttore che lega le tre opere: non si tratta solo del luogo geografico in cui le vicende si svolgono, ossia la Calabria delle periferie, quanto piuttosto di un luogo ideale, uno stato della coscienza. I tre protagonisti – Ayiva, Pio e Chiara – sono tutti, in un modo o nell’altro, vittime di una condizione di disagio ed emarginazione, in cui la legalità è costretta a cedere pesantemente il passo alla dura legge della necessità. Ciascuno a suo modo, i personaggi si troveranno a scegliere quale strategia adottare per (soprav)vivere.

Non è un caso se anche A Chiara conquista il favore della critica vincendo, come il pluripremiato A ciambra (David alla miglior regia e al miglior montaggio, oltre a una candidatura all’Oscar come miglior film in lingua straniera), il premio Cinema Europa Label. Jonas Carpignano, classe 1984, appare infatti come un autore già maturo, capace di confrontarsi con i temi più importanti di questo travagliato nuovo millennio: integrazione tra popoli, sfruttamento dei più deboli, effetti distorti del capitalismo, ‘ndrangheta, rapporti famigliari.

Sotto la lente attenta del regista, capace di unire sapientemente la precisione del documentarista e la sensibilità del romanziere, ogni luogo dell’animo umano viene scandagliato con un’onestà disarmante che porta a chiedersi chi sia, davvero, il “cattivo” rappresentato sullo schermo: un mafioso che spaccia o un papà che cerca di dare una vita dignitosa alle proprie figlie? È un immigrato clandestino o un dipendente costretto a lavorare senza contratto per sopravvivere? I canoni del pregiudizio vengono destigmatizzati e, al posto delle tante certezze, allo spettatore resta il vuoto dentro, un sentimento agrodolce a metà tra il pianto e la tenerezza.

Con A Chiara, Carpignano affronta i temi dell’identità e della famiglia, ponendo al centro della storia una ragazza che, appena quindicenne, inizia a confrontarsi con le proprie radici familiari. Mentre Pio, in A ciambra, appare incapace di prendere le distanze dal contesto di origine, qui lo strappo è inevitabile. Per la protagonista il compromesso non è una soluzione praticabile e l’affetto dei suoi cari non basta a restituirle l’innocenza di un amore incondizionato. L’opera, che si apre e si chiude in maniera speculare, pone così l’accento, sia a livello grammaticale che contenutistico, sull’importanza delle scelte. È proprio dalla consapevolezza che si scatenano una serie di eventi che cambieranno la vita di Chiara in maniera radicale. Come nelle favole, per sempre.

Valeria De Bacco

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