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Memory

Il regista messicano Michel Franco dirige il suo ultimo lungometraggio, lontano dalla cruda e provocatoria violenza caratterizzante molti dei lavori precedenti, il cui titolo rimanda in un istante al focus della storia. Memoria, intesa come raccolta e insieme di ricordi ma anche come capacità di rammentare esperienze e fatti vissuti. Per i protagonisti Sylvia e Saul la memoria rappresenta un ostacolo disturbante: troppo viva, ingombrante e a tratti distorta per lei; lacunosa e inaffidabile, fino a divenire assente, per lui. Sylvia rifugge da un passato doloroso di abusi e alcolismo che non smette di segnare la sua esistenza e quella di sua figlia adolescente, mentre Saul tenta disperatamente di ricordare tutto, lottando contro una precoce demenza che lo sta isolando dal mondo. Il vivere una vita ai margini, seppur per diversi e quasi opposti motivi, consentirà loro di “trovarsi”: rispettivamente in fuga da un passato traumatico che non si può cambiare e da un futuro incerto che non si riesce a intravedere non resta che lasciarsi andare a un presente che fa sentire vivi, come due giovani che si abbandonano al rischio e alle meraviglie del primo amore.

Il tema della memoria trascina con sé riflessioni legate all’identità, poiché i ricordi ricoprono una funzione importante nella costruzione del sé; contribuiscono a formare l’immagine che abbiamo di noi, riuscendo a volte, persino, a inibire processi di cambiamento e trasformazione, facendoci sentire e mostrandoci al mondo, negli anni, come se fossimo gli stessi di sempre.

Attorno a Sylvia e Saul, la cerchia dei loro familiari che, nel tentativo di proteggerli, finisce invece per danneggiarli. La figlia di Sylvia si distingue da tutti: gestisce con maturità, pazienza e comprensione l’iperprotettività e la severità della madre nonché le relazioni tra i vari membri della sua famiglia spezzata e danneggiata, ricoprendo un ruolo chiave nello sganciare ingranaggi bloccanti e bloccati, aprendo le porte alla speranza. I personaggi hanno percorsi esistenziali decisamente complicati, ma nonostante ciò il regista non li mostra mai travolti da eccessi tragici, non sconfina mai in eclatanti scene emotivamente drammatiche, mantenendo uno stile composto, pacato e misurato.

Franco segue Sylvia, su cui la storia si concentra maggiormente (mentre il personaggio di Saul resta decisamente meno approfondito), nell’avanzare tra i luoghi della sua quotidianità, con New York a far da cornice: dal lavoro (un centro di assistenza per adulti) agli spazi domestici (la propria casa, quella di Saul, quella della sorella), fino al centro di ritrovo per gli Alcolisti Anonimi. L’interpretazione di Jessica Chastain mostra con sensibilità il peso e la fatica di una donna in costante precario equilibrio, dedita alla cura degli altri quasi a scapito della propria vita, a cui sembra quasi aver rinunciato. Almeno fino all’incontro con un’altra anima sofferente, quella di Saul: cullati dalla malinconica melodia di A whiter shade of pale dei Procol Harum, i due si consegnano a quei piccoli, confortanti attimi senza tempo che concedono sprazzi di serenità agognati e meritati, restituendo il sorriso e guarendo le ferite del cuore.

Loredana Iannizzi

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