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Ariaferma

Nel 1791 il filosofo inglese Jeremy Bentham teorizza la costruzione di un carcere il cui centro fosse il cosiddetto “panopticon”, una torre centrale dalla quale il sorvegliante, tramite particolari giochi di prospettiva, potesse controllare tutti i detenuti dislocati in celle circolari senza essere visto. Metafora del potere invisibile che tiene costantemente sotto controllo l’uomo, ripreso poi da pensatori come Foucault e da scrittori come Orwell, il panopticon viene riutilizzato e ripensato da Leonardo Di Costanzo per il suo terzo lungometraggio.

Presentato all’ultima Biennale del Cinema di Venezia, Ariaferma parte dall’imminente dismissione di un vetusto carcere ottocentesco nel quale, a ridosso della chiusura, dodici detenuti in attesa di trasferimento e una manciata di agenti dovranno restare per un tempo ancora indefinito. Per poter essere più facilmente gestiti dalle poche guardie rimaste, i prigionieri vengono spostati nella parte centrale a pianta circolare dell’edificio. Il comando delle guardie penitenziarie è affidato all’ispettore Gaetano Gargiulo che cerca di tamponare la situazione muovendosi tra la rigidità violenta di alcuni colleghi e le rumorose richieste dei detenuti che subodorano la sua difficoltà. Tra questi ultimi si staglia il camorrista Carmine Lagioia, leader dei prigionieri che cerca a mano a mano di ottenere piccole provocatorie concessioni per rendere l’atmosfera più vivibile a tutti.

Frutto di una profonda ricerca svolta in numerosi istituti di pena – nei quali il regista ha ascoltato alcune delle storie che vengono tratteggiate nel film – l’immaginario carcere di Mortana è il vero protagonista di Ariaferma: un luogo in evidente stato di abbandono, dedalo di infinite celle e lunghissimi corridoi nei quali si aggirano uomini divisi da un ruolo eppure accomunati dalla medesima condizione di attesa. Le guardie cercano di ridurre lo spazio disponibile limitando anche la propria libertà, i detenuti aspirano a metrature più ampie nelle quali potersi muovere con nuova vitalità. Una vitalità che aspira alla “normalità” e che finisce per conquistare un poco anche Gargiulo, uomo controllato e rispettoso delle norme, capace però di mettersi in ascolto. Accogliendo le proposte di Lagioia, l’ispettore riesce a ovviare ad alcune emergenze evitando potenziali rivolte, trovando anche l’occasione per togliersi metaforicamente l’uniforme, sedersi a una tavolata e mangiare assieme ai detenuti.

Costruito su una tensione che trova voce soprattutto in suoni potenti e musiche incalzanti, Ariaferma si rivela un importante film sulla solitudine e sulla fiducia che porta lo spettatore ad attendere qualcosa di “grosso”, rivelando invece con piccoli dettagli l’avvento di un momento di quiete senza intenzioni buoniste o edificanti.

Non c’è spazio per rapporti duraturi nel carcere, ma questo non significa, per Di Costanzo, che non si possa ritrovare la propria umanità.

Marco Mastino

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