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Captain Fantastic – Matt Ross

Leggendo il titolo, potremmo immaginare di vedere un film di supereroi, ma poi, guardando la locandina, dove i protagonisti indossano abiti piuttosto stravaganti per la nostra epoca e spunta persino un pulmino rétro che assomiglia molto a quello di Little Miss Sunshine, ci viene in mente che assisteremo a una visione originale, di grande libertà, e dunque dall’atmosfera indipendente. È stato infatti presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2016 e ha poi vinto il premio alla regia nella sezione Un certain regard al Festival di Cannes.

Tutto inizia in una maniera molto veloce e in una foresta che diventa subito luminosa e calda grazie a una fotografia naturalistica. Ci rendiamo immediatamente conto che i protagonisti della storia devono cacciare per poter vivere e che, tranne un uomo con il viso completamente sporco di terra e coperto da capelli e barba folta (a prima vista un Viggo Mortensen irriconoscibile che riesce a ricoprire questo ruolo in maniera inappuntabile grazie alla sua fisicità e alla sensibilità tangibile), tutti gli altri sono bambini e adolescenti. Si tratta della numerosa famiglia di Ben Cash, uomo che ha deciso di vivere con i suoi sei figli fuori dalla vita convenzionale ma reale (come nel mito del bon sauvage di Rousseau). Oltre a insegnargli a procurarsi il cibo uccidendo animali, il padre li allena nelle arti marziali, allestisce corsi autogestiti di filosofia e fisica quantistica, fa loro leggere seguendo una precisa tabella di marcia e memorizzare la Dichiarazione universale dei diritti e le pagine de Il Capitale di Karl Marx. Un padre rigoroso ma allo stesso tempo meraviglioso e coraggioso che si dedica completamente ai suoi figli e li educa a vivere in questo piccolo paradiso. L’intenzione sembra quella di mettere in pratica lo stato ideale di Platone: un perfetto connubio tra rapporto primordiale dell’uomo con la natura e il suo corpo, la supremazia dell’intelletto e il continuo esercizio di dialettica che mantiene viva una mente. Tuttavia se già in epoca greca la proposta platonica era percepita come utopica, anche nel film, con la morte della moglie e madre già lontana dalla famiglia perché malata di disturbo bipolare e il viaggio per partecipare al funerale della donna, le forti convinzioni di Ben verranno messe in dubbio, soprattutto da un uomo conservatore, che vive nella società, altra figura di padre. E il dialogo/scontro tra i due espone due lati della stessa medaglia di che cosa significa essere genitore: uno che forse non c’è mai stato, ma che può garantire protezione economica e uno che dedica completamente la sua vita ai figli, ma senza soldi.

Avvicinandosi nello stile, un po’ per immagini e colori, a Wes Anderson, Matt Ross mette a confronto due forme opposte di vita: il metodo estremista di Ben ma che rende lui e la famiglia “disadattati” e l’inettitudine della gente “normale”, ligia a regole assurde ma che il conformismo quotidiano ci impedisce di vedere come tali. Un dramedy misto a un road-movie, molto piacevole e accessibile, che sa parlare di perdita, di amore, di educazione e responsabilità genitoriale.

di Alexine Dayné

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