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Godland

“Terra malformata”: è questo il significato del doppio titolo originale, in danese e in islandese, del terzo film di Hlynur Pálmason, giovane regista nato in Islanda e formatosi in Danimarca, che si fece notare nel 2019 con A White White Day, opera vincitrice del 37° Torino Film Festival. E sul doppio è costruita tutta la sua ultima opera di finzione, Godland, presentata a Cannes nel 2022 nella sezione Un Certain Regard.

Partendo da un fatto reale – alcune fotografie scattate nel XIX secolo in Islanda da parte di un prete luterano danese in missione – Pálmason ci mostra l’impervio viaggio di padre Lucas per raggiungere una nuova parrocchia in via di costruzione. Il giovane trasporta con sé una pesante attrezzatura per scattare fotografie e restituire così ai suoi superiori testimonianze sulla condizione di vita della nuova e selvaggia propaggine del Regno di Danimarca. Accompagnato dal burbero e pratico Ragnar, che parla un poco di danese, Lucas dovrà fare i conti con un territorio spietato e pericoloso che metterà a dura prova la sua vocazione.

Utilizzando il formato 4:3 – che rimanda al cinema delle origini e della conquista – Pálmason divide il film in due precise parti: il viaggio verso la parrocchia che, come un vero e proprio battesimo, mostra a Lucas tutto il suo orrore e la sua violenza svuotandolo quasi totalmente e l’arrivo nello sperduto villaggio, controllato da un ricco danese stanziatosi lì assieme alle due figlie, con l’attesa da parte degli abitanti di parole che illuminino la loro, presunta, arretrata vita.

Film incentrato sulla contemplazione e su una contemporanea urgenza di azione, Godland racchiude poesia e cruda realtà descrivendo alla perfezione la doppia condizione umana: quella spirituale e quella fisica.

Lucas, da novello “conquistatore” che porta il progresso in una terra indomabile, trasporta come una croce il suo bagaglio fotografico senza capire fino in fondo le necessità degli uomini che abitano l’Islanda. Accecato dall’idea di essere superiore culturalmente, ma anche fisicamente quando deve dimostrare la sua vera forza, non riesce a guardare davvero ciò che lo circonda perdendo il legame con la natura e la sua capacità di ascolto.

Più volte ripreso per il modo in cui tratta il suo cavallo, sordo alle richieste di Ragnar di insegnargli a capire Dio, il giovane prete si perde rinascendo in altra forma. Di lui resteranno solamente le fotografie. Tentativo, anche questo in qualche modo “contro natura”, di immortalare, eternizzandoli, persone e animali, per preservarli così dall’azione decompositrice del tempo.

Marco Mastino

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