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Grazie a Dio – François Ozon

Premiato alla Berlinale 2019, Grazie a Dio, ci propone un François Ozon inedito e senza eccessi, che si è fatto trascinare da un tema di forte impatto per dirigere un film con forte valenza politica e sociale.
Le vicende sono legate a fatti reali che vanno dal 2014 al 2016, quando Alexandre, di famiglia cattolica, viene a sapere che Preynat, il prete che l’ha abusato tanti anni prima, si trova ancora a Lione. È una notizia che scatena ricordi ormai sepolti. Prima scrive all’arcivescovo Barbarin, che reagisce con l’omertà dimostrata nei vent’anni precedenti e poi si affida alla magistratura. Altre due vittime, François e Emmanuel, in lotta contro termini di prescrizione e immobilismo, creeranno un’associazione che possa farsi sentire: La Parole Libérée.

La tensione narrativa non viene dai fatti, ammessi dallo stesso padre Preynat, ma dalla reazione emotiva di queste anime fragili, colpite troppo presto dalla violenza della vita.
Il regista francese lavora con rara sensibilità negli spazi vuoti della storia, nei silenzi lunghi anni e nella difficoltà probabilmente insormontabile di superare un trauma che ha distrutto il rapporto delle vittime con la figura paterna, senza più fiducia nel senso più profondo e spirituale del termine Pater. Non casualmente sono le donne, quelle con cui sono riusciti più spesso a convivere e condividere tale passato, come la figura della madre di Emmanuel.

Uomini (magistralmente interpretati da alcuni attori quarantenni più interessanti del cinema francese) che hanno cercato di costruirsi una nuova famiglia in età adulta, trovando solo in chi ha subito lo stesso trauma il pezzo mancante che sembra pacificarli.
Suturare definiitivamente una ferita del genere non è possibile, ma è sicuramente un passo avanti poter trovare qualcuno che non ti guarda per giudicarti, o compatirti.

La tessitura del racconto è composta da lettere cartacee, email, telefonate, missive lette con voce off dai singoli protagonisti sulle dolorose vicende passate ma anche sui tentativi vani di riconciliazione che lasciano spazio alla parola e alla confessione (ingabbiate per troppo tempo) e che filtrano i sentimenti di Alexandre, François e Emmanuel.

Il titolo del film è il lapsus freudiano di monsignor Barbarin che, dopo anni di accuse verso il sottoposto padre Preynat, durante una conferenza stampa a margine dell’imminente processo al prete imputato, si lascia sfuggire un “grazie a Dio, i reati sono prescritti”.
In questa tattica distanziante e persuasiva del clero cattolico, preposta a coprire la melma che esonda dai piani bassi delle violenze consumate in parrocchia, François Ozon disegna una partitura armonica di disvelamento degli orrori suddivisa in quattro movimenti dove l’interiorità del singolo è pronta ad implodere. Un approccio di sguardo che vuole scrutare il movimento impercettibile del viso, degli occhi, della bocca di vittime che hanno sofferto troppo e hanno bisogno di dirlo.

Alexine Dayné

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