NASA, 1961: le dipendenti Katherine Johnson, Dorothy Vaughn e Mary Jackson fanno parte di una precisa, ristretta minoranza all’interno della grande macchina produttiva che sta progettando il primo sbarco americano su territorio lunare. Scienziate brillanti e capaci, rispettivamente matematica, supervisore di un team di “calcolatrici” e aspirante ingegnere, sono però donne e nere, in un periodo storico e in uno stato, la Virginia, in cui la segregazione razziale è ancora fortemente presente. Non fa eccezione il vorticoso microcosmo della NASA, che designa spazi e oggetti distinti per bianchi e neri: dalle toilette per colored (relegate in un edificio lontano da tutto), al diverso bricco dal quale versarsi il caffè.
La segregazione femminile e razziale e la conseguente lotta per l’emancipazione vengono in questo film (dal titolo originale, forse più suggestivo, di Hidden Figures) messe in scena soprattutto lavorando su due aspetti fondamentali: il colore e la parola. Ogni elemento visivo viene rappresentato per essere in antitesi con il suo opposto: gli uomini bianchi vestiti di bianco, le donne di colore vestite colorate. La divisa d’ordinanza maschile consiste, infatti, in rigide camicie bianche, accompagnate da una finissima cravatta nera, mentre le donne hanno sì l’obbligo dei tacchi, del filo di perle e del vestito sotto al ginocchio, ma nessuna prescrizione in materia cromatica e sfoggiano così sgargianti abiti azzurri, rossi, marroni, contribuendo forse alla perdita di autorevolezza che può invece derivare dalla sobrietà degli outfit dei colleghi maschi. Anche l’ambiente stesso della NASA, con le bianchissime luci fredde al neon, si pone in netto contrasto con le appariscenti tonalità femminili, rigettando dunque, nel suo complesso, la donna colorata, ospite, seppur illustre, ma mai padrona di casa. Tale separazione formale e dunque sociale, verrà, infine, superata grazie alla distruzione di vecchie parole scritte, sostituite con nuove parole per ora solo pronunciate, che sanciranno, in maniera ufficiale e definitiva, una parità razziale e di genere all’interno dell’agenzia governativa statunitense. In una scena centrale dell’opera, Al Harrison (Kevin Costner), superiore di Katherine, dopo aver eliminato la scritta colored dall’apposito bricco del caffè, distruggerà, prendendolo letteralmente a mazzate, il cartello con la scritta colored ladies room, per poi declamare solennemente: «Qui alla NASA, la pipì ha lo stesso colore».
Tratto da fatti realmente accaduti, Il diritto di contare ha l’onorevole compito di raccontare una storia mai raccontata, di far emergere quelle pagine bianche della storia della NASA, di portare alla luce quelle figure nascoste, differenti, che ‒ ora lo sappiamo ‒ hanno invece fatto la differenza.
Carolina Zimara