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Maps to the Stars

Agatha, una ragazza dal passato turbolento, decide di trasferirsi a Los Angeles alla ricerca di fortuna e affermazione. Grazie d una conoscenza influente riesce a farsi assumere come assistente da un’attrice dalla carriera non particolarmente brillante, ossessionata dal ricordo ingombrante della fama dalla madre, anche lei attrice. L’ingresso in questo mondo la mette a contatto con una realtà dagli aspetti torbidi, a cui lei stessa non è per nulla estranea: tredicenni enfants prodiges del cinema già psichicamente compromessi dalla droga, psicoterapeuti imbrigliati in tensioni mistiche e profetiche, madri totalmente succubi delle nevrosi dei figli e agenti di spettacolo gretti e anodini, rigorosamente ebrei.

Maps to the stars è in fondo essenzialmente questo: una singolare cartografia la cui superficie di riferimento non si esplica in zone e aree geografiche, ma per punti mentali; paure, angosce e ricordi si sostituiscono a golfi, insenature e fiumi, rappresentati in modo tale da lasciare intravedere persino il loro agitato movimento tellurico. Questa corrispondenza tra la volontà di raccontare le profondità della psiche umana e l’esigenza di farlo attraverso una persistente e cruda materializzazione emerge anche qui come la vera cifra stilistica di Cronenberg, regista da sempre affamato di fisicità e corporeità, da sempre attento – anche se qui forse in maniera meno efficace – a mostrare e manipolare, dislocandole e feticizzandole le ossessioni e le labilità della mente fissate attraverso l’esplorazione anatomica, in film come Videodrome o La Mosca, oppure ridotte allo stato di semplice cosa, nel rigido e quasi asettico realismo di alcune scene di film successivi, compreso Maps to the stars.

L’interesse di Cronenberg per la psicoanalisi è divenuto ormai un elemento strutturale dei suoi film, a partire da quella sorta di ricostruzione storica che sembrava essere A dangerous method. In Maps to the stars Cronenberg si posiziona direttamente sul punto centrale a partire dal quale si costituisce tutta la vicenda edipica: l’incesto. Quella che ci viene proposta è in ultima istanza una variopinta panoramica – una mappatura appunto – di quello specifico lato oscuro che giace nelle profondità di ognuno, ma che è sempre pronto a ripresentarsi, in tutta la sua potenza ancestrale, sulla scena del mondo di oggi, disincantato e post-emotivo. L’incesto s presenta quindi dapprima sotto le forme di una semplice e neutra idea per una sceneggiatura, poi nulla scoperta tardiva e drammatica d’averlo vissuto, in seguito come offuscato da stratificazioni simboliche e eluso da sublimazioni artistiche ed infine ricercato esplicitamente come atto catartico primigenio.

In questo quadro a tinte fosche, desolato e mortifero, Croenberg conserva però anche uno spazio per la speranza, rappresentato da quell’anelito di libertà a cui i personaggi in sequenza inneggiano, recitando come un mantra gli ultimi versi di una famosa poesia di Paul Eluard.

Enrico Zimara

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