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Mistress America – Noah Baumbach

mistress americaCosa significa, oggi, avere venti, trent’anni? Noah Baumbach, in Mistress America (ma già nel fortunato Frances Ha e indirettamente in Giovani si diventa), stringe ossessivamente il proprio fuoco intorno a questa domanda. Gemello di Girls, la serie tv scritta e interpretata da Lena Dunham, il suo cinema ha saputo traghettare la nicchia, spesso autoreferenziale, del mumblecore americano in direzione di una nuova autorialità, orientata allo studio quasi entomologico dei tic di una generazione socialmente circoscritta, ma al tempo stesso esistenzialmente molto ampia. Tracy (Lola Kirke) e soprattutto Brooke (Greta Gerwig), le due protagoniste del film, fanno parte di questa generazione spaesata, alla continua e disperata ricerca di valori e obiettivi. L’una ha diciott’anni, è timida e appena approdata al college; l’altra è una trentenne sconclusionata, pienamente immersa nel frenetico clima metropolitano. Si conoscono perché i relativi genitori (madre di Tracy, padre di Brooke) hanno intenzione di sposarsi in seconde nozze.

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A malapena nascosto dal tono scanzonato che accompagna la vicenda, Mistress America possiede in realtà uno sguardo affilato, che perdona poco o niente ai suoi personaggi. Se Brooke è vanitosa, egoriferita e manipolatrice, la piccola Tracy, apparentemente innocente, si rivelerà anaffettiva e approfittatrice. Merito di Baumbach è allora la capacità di mettere al centro della sua storia due personaggi a loro modo irritanti, che siamo però portati a perdonare per via delle loro tenere insicurezze. D’altra parte, quasi con uno stesso movimento di sceneggiatura, i comportamenti di Brooke e Tracy rivelano anche una volontà – tutta positiva ‒ di ricerca del nuovo, ben al di là di modelli e valori ormai ritenuti superati.

Al centro del film è il tema della narrazione, bene espresso dall’invadente voce narrante: Tracy, timida, vuole diventare una scrittrice, mentre Brooke vive una vita che vale forse la pena di essere raccontata. Baumbach sembra qui interrogarsi non tanto sull’ispirazione artistica in sé, quanto piuttosto sul rapporto tra autenticità e plagio, tra l’avere un’idea e concretizzarla. La storia di Tracy ‒ che è poi il suo eccentrico coming of age ‒ è un furto oppure un’opera autonoma che prende spunto dal reale?mistress america 2

Mistress America è prima di tutto una commedia newyorkese divertente e divertita, ricca di arguti one liner, così come di situazioni grottesche e paradossali. La lettura recitata dei crediti è una trovata spassosa, non meno della lunga scena “imprigionata” nella villa dell’amica di Brooke, che pare quasi una riscrittura hipster e scanzonata di certi temi buňueliani o kafkiani. I riferimenti culturali e pop non mancano, così come un tono che finge di non prendersi troppo sul serio. Mistress America è così un film riuscito, che ha gli stessi meravigliosi difetti dei suoi personaggi: prolisso e verboso, blasé e disimpegnato, riesce a farsi anti-manifesto di una generazione in ricerca, che, come già preconizzava felicemente Nanni Moretti, «fa cose e vede gente».

di Giulio Piatti

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