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Regine del campo

Lo Spac, squadra calcistica del paese di Clourrières, a nord della Francia, è sgangherata ma battagliera, con un pubblico appassionato al seguito e un passato glorioso: novanta anni di storia alle spalle, la squadra ha vinto varie competizioni e l’attuale allenatore Marco, ex calciatore (l’attore Kad Merad) è una specie di star in paese. Celebrare l’illustre passato però (come spesso fanno in momenti conviviali giocatori e dirigenti) non contribuisce a rendere altrettanto glorioso il presente: la passione irruente dei calciatori sfocia spesso in scontri fisici e, dopo l’ennesima rissa in campo, la squadra viene sospesa per le successive partite del campionato, rischiando così la retrocessione. Proprio per scongiurare quest’ultima, tragica, prospettiva, alla figlia di Marco viene un’idea: continuare a gareggiare sostituendo i calciatori sospesi con delle donne, rendendo a tutti gli effetti lo Spac una squadra di calcio femminile. Con poca convinzione, ma sentendo di non avere altre alternative se non la morte definitiva della squadra, Marco decide di iniziare questo nuovo capitolo.

Il neonato gruppo è composto perlopiù dalle mogli dei giocatori ed è ben presto evidente che questo cambio di ruoli porti scompiglio nelle famiglie stereotipate portate in scena nell’opera. I mariti sono così rappresentati intenti nelle faccende domestiche e di accudimento della prole, attività che svolgono con fatica e poco entusiasmo, abituati a demandare il tutto alle loro consorti. Impacciati e insicuri di fronte al cambiamento, gli ormai ex giocatori raggiungono il culmine della loro inadeguatezza facendo sfoggio di insensate scenate di gelosia (Non mettere le mani addosso a mia moglie grida il marito dagli spalti all’arbitro che, per accertarsi della salute della giocatrice e terra, le tocca una gamba).

Anche le donne, d’altro canto, non vengono rappresentate meno impacciate nelle loro nuove vesti, né il cambiamento genera in loro una qualsivoglia presa di coscienza rispetto alla loro vita o al loro ruolo di donne nella società. Non viene tematizzata infatti nel film la sorellanza che si sarebbe immaginato potesse nascere. Vi è un’unica scena che la ricorda: le calciatrici intorno a un tavolo in giardino dialogano più o meno abilmente delle loro vicissitudini, consigliandosi l’un l’altra, ma è una conversazione breve, leggera e annacquata dall’alcol. Ben lungi dall’essere le regine di qualcosa, sembrano in realtà rimanere piuttosto delle esecutrici in balia delle decisioni dei dirigenti uomini che, con i loro contrasti per mantenere in piedi o meno la squadra (il presidente del club infatti non è mai stato favorevole a coinvolgere le donne e boicotta in ogni modo i loro allenamenti), restano i protagonisti.

Il pregio del film è quello di mostrare con evidenza come un (apparente) banale cambiamento possa mettere in luce tradizionali stereotipizzazioni di genere che forse potevano apparire ormai superate, ma che pare risultino invece solo sopite e (mal)celate nella routine di un paese di provincia. Peccato che questo inaspettato capovolgimento di ruoli nelle famiglie del paese non abbia generato una riflessione né un reale cambiamento di prospettiva su nessuno e nessuna.

Carolina Zimara

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