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Locandina - Asteroid City

Asteroid City

Metanarrazione, virtuosismi registici, citazioni di ogni sorta, un cast stellare. Wes Anderson mette un altro tassello nel suo percorso di ricerca autoriale all’insegna dell’assurdo, di una malinconica comicità e di una meticolosa attenzione all’estetica visiva e sonora sorretta da un uso espressivo della fotografia e della colonna sonora. 

Il suo ultimo film è un contenitore a più livelli, diviso tra due racconti: quello del dietro le quinte, relativo al programma televisivo con tanto di annunciatore, incentrato sul making of dello spettacolo “Asteroid City”, con sequenze in bianco e nero e in formato Academy. E poi quello dello stesso spettacolo in scena, dall’atmosfera retrò e i colori pastello e a tutto schermo, ambientato nel 1955 e nel set-location di una cittadina desertica dell’Ovest americano, con cratere meteoritico incluso (da cui il nome della città). Attorno a un convegno dedicato a giovani astronomi confluiranno le vite dei personaggi, presto sconvolte da un evento inaspettato che li costringerà a relazionarsi tra loro durante una quarantena forzata. 

Sono molteplici i riferimenti all’America e ai suoi personaggi iconici. E poi i cliché del cinema: la fantascienza, pretesto per parlare della paura dell’alieno, dell’altro; il western, tra cow-boy ed effetti sonori che suscitano un senso di attesa e sospensione; e la commedia (drammatica e musicale). La meticolosa cura per i dettagli, la predilezione per le immagini simmetriche e i campi larghi, il gusto per le prospettive, l’attenzione per la costruzione dell’inquadratura, e la sistemazione dei corpi che ne fanno parte, i precisi movimenti della macchina da presa, che non trascurano gli elementi laterali e, sullo sfondo, riflettono uno stile unico e inimitabile. Sandali e calzettoni per personaggi caratterizzati alla perfezione, scene ricche di particolari e oggetti evocativi carichi di simboli e significati seminati qua e là, impongono almeno una seconda visione del film. 

Gli attori, di molto famosi se ne contano almeno una decina, si susseguono, a volte anche solo in comparsate, si affidano al regista sceneggiatore che sa benissimo cosa vuol far dire e come ai suoi personaggi, si adeguano al ritmo del film, recitano la loro parte a servizio di un lavoro corale senza guizzi di protagonismo. Nei dialoghi dall’intimità teatrale, con sguardi in camera che contribuiscono a creare un’atmosfera straniata e straniante, Anderson riesce comunque a far emergere tematiche universali come il lutto, la perdita, l’abbandono, la difficoltà della genitorialità ma anche la speranza per il futuro e l’ambiguo rapporto tra autore, creazione e vita vera, oltre che riflessioni sul senso dell’arte e i messaggi che trasmette.

Asteroid City è, tra i film di Anderson, forse quello più sincero emotivamente e il mantra “non puoi svegliarti se non ti addormenti”, declamato a più voci, simboleggia la condizione dell’essere umano, costretto, nel corso dell’esistenza, ad affrontare il buio e l’ignoto, se vuole raggiungere più consapevolezza o anche solo un barlume di serenità. Un invito allo spettatore ad abbandonarsi con la speranza di ritrovarsi, possibilmente migliore.

Loredana Iannizzi

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