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Il male non esiste

Il male non esiste (2023), film scritto e diretto dal regista giapponese Ryusuke Hamaguchi, racconta le vicende di un contadino tuttofare, Takumi, che vive in un villaggio rurale insieme alla figlia Hana. La vita scorre normale tra i meravigliosi paesaggi che il villaggio Mitzubiki offre alla sua piccola comunità. Un equilibro che scorre normale, come scorrerebbe un ruscello di montagna, ma che viene interrotto dall’idea di costruire un camping di lusso. Volontà di alcuni cittadini di Tokyo, che vogliono sfuggire dalle strade urbane per incontrare la pace che si respira nel villaggio tanto amato dal protagonista Takumi. Un equilibrio tanto bramato quanto pericoloso da spezzare, visto che la costruzione del “glamping” avrebbe un impatto negativo sull’ approvvigionamento idrico locale.

Hamaguchi, nelle sue opere, è solito mettere in evidenza un racconto corale, un insieme di persone che per quanto diverse siano finiscono per intrecciarsi, sia nel bene che nel male.

Se per la pellicola vincitrice di un Oscar, “Drive my car” (2021), il racconto nasce dall’unione tra attori che dividono linguaggi e paesi diversi, ne “Il male non esiste” ad intrecciarsi è proprio il Giappone stesso: tra il rurale e il mondano. Queste unioni però possono essere come due poli uguali che per quanto cerchino di unirsi sono incompatibili, un male che non esiste, che non si può né vedere né sentire. Il regista mostra allo spettatore questa incompatibilità tramite il suo linguaggio cinematografico: presente nei piccoli gesti, negli sguardi e nel paesaggio giapponese tanto amato dal regista. La fotografia, infatti, si fa largo in un Giappone senza tempo, luoghi fantastici e lontani dalla nostra realtà mondana, che rendono allo spettatore l’idea di un mondo incontaminato.

Lo spettatore, oltre ad essere partecipe dei bellissimi paesaggi, grazie alla regia di Hamaguchi, viene catapultato nella realtà dei personaggi, dalla mattina alla sera, ma la totalità del racconto non si percepisce, quello che si vede è solo la piccola verità del personaggio. Il regista, infatti, come nelle sue pellicole precedenti tende a raccontare piccole pillole di vita facendo eco al cinema moderno giapponese raccontato dal collega Hirokazu Koreeda e dal cinema Neorealista italiano di Vittorio De Sica. Ed ecco che il suo cinema, da così distante geograficamente, diventa così vicino a noi. Ryusuke è capace di riunire il distante con racconti familiari, amicali e corali, come se potessimo viverlo e sentirlo anche noi spettatori lontani.

Alice Zoja

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