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Patagonia

Yuri è un diciannovenne candido e ingenuo che vive ospitato a turno dalle anziane zie in un paesino della costa abruzzese. Agostino è un giovane animatore per bambini che si sposta di volta in volta vivendo nel camper scassato lasciatogli dal padre. Quando i due ragazzi si incontrano alla festa di compleanno del cuginetto di Yuri, quest’ultimo rimane affascinato dalla vita libera e senza obblighi di Agostino e decide di seguirlo. Inizia così un rapporto intenso, intimo, travagliato in cui si intrecciano dinamiche di potere, solitudine e desiderio di fuggire altrove.

Presentato in concorso all’ultimo Festival di Locarno, Patagonia è il lungometraggio di esordio di Simone Bozzelli, giovane regista teramano diplomatosi al Centro Sperimentale del Cinema di Roma e già autore di premiati cortometraggi, oltre al celebre videoclip dei Maneskin I wanna be your slave. Proprio il titolo del brano della band romana può servire come indizio della poetica di Bozzelli: un interesse profondo per i rapporti interpersonali in cui il confine tra sadismo e affetto si confonde a causa della forza dirompente dei sentimenti in gioco.

 Yuri e Agostino si abbisognano, non tanto per questioni alimentari o economiche, ma per un certo isolamento nel quale si trovano a vivere. Bozzelli non chiarisce mai la natura del loro rapporto decidendo di andare oltre una qualsiasi definizione e tracciando una forte linea narrativa nella quale assistiamo alla danza di due anime in cerca di loro stesse.

Girato in un Abruzzo assolato, quasi desertico, distante dall’ambientazione cittadina tipica di molte produzioni italiane, Patagonia è un’opera prima che trasuda vita e desiderio, amarezza e concreta poesia, come il sogno dei due protagonisti di andare nella Terra del Fuoco, luogo vagheggiato e idealizzato dove trovare la propria pura libertà senza doveri, senza recinti e senza limitazioni. La gabbia, del resto, è un altro dei temi dell’opera, gabbia citata esplicitamente, gabbia astratta e gabbia reale, come dimostrano le numerose scene all’interno dell’angusto camper in cui lo spazio è risicato, la macchina da presa sembra quasi appicciata ai corpi ed è inevitabile il contatto fisico, cercato o meno. Film di luoghi, aspro e livido, Patagonia risalta per i volti dei suoi protagonisti, facce scavate e dai tratti netti che ci fanno pensare ai visi drammaticamente belli dei “ragazzi di vita” del cinema di Pier Paolo Pasolini.

Marco Mastino

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