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Cantando sotto la pioggia

Una colonna sonora memorabile, i numeri musicali e le coreografie rivoluzionarie, magistralmente pensate ed eseguite, la fotografia vivace ed esuberante, per restituire tutta la magia dello scintillante mondo di Hollywood: questi sono gli elementi fondamentali che, a distanza di settant’anni esatti dall’uscita del film, fanno di Cantando sotto la pioggia uno dei musical più importanti e più riusciti della storia del cinema.

La sceneggiatura è semplice, quasi un pretesto per consentire a Stanley Donen e Gene Kelly di far sorgere a nuova vita un genere che sembrava avesse ormai fatto la sua storia. Siamo nel 1927, anno della rivoluzione del sonoro: Don Lockwood (Gene Kelly) e Lina Lamont (Jean Hagen), due star del muto, devono affrontare questo passaggio fondamentale, con tutti i problemi recitativi e tecnici connessi a questa trasformazione. Mentre Lockwood sembra adattarsi bene a questa nuova condizione, la sua compagna sullo schermo, anche a causa di una voce decisamente sgradevole, rivela tutta la sua rigidità e incapacità attoriale nella gestione del nuovo mezzo, al punto da rendere necessaria la sostituzione della sua voce con quella della giovane chorus girl debuttante Kathy Selden (Debbie Reynolds). L’incontro della giovane e dotata attrice piena di speranze con l’affascinante e acclamato divo di Hollywood innesca, fatalmente, la scintilla di un amore celebrato a suon di musica e danze, pregiate impunture di una trama che coniuga mirabilmente l’aspetto più superficiale e hollywoodiano del cinema con l’afflato romantico tipico dell’eredità teatrale della commedia musicale.

Nella sua poderosa Storia del musical Luca Cerchiari afferma che l’equivoco fondamentale inerente il musical consisterebbe “nel ritenerlo un genere statunitense di spettacolo cinematografico”. In realtà, le sue radici affonderebbero nel terreno dello spettacolo teatrale, vero luogo di nascita di un genere che solo in seguito, e dunque in modo del tutto spurio, sarebbe diventato patrimonio fondamentale della settima arte. Questo fatto risulta particolarmente importante per Cantando sotto la pioggia, la cui peculiarità è proprio quella di essere stato concepito da subito come un prodotto esclusivamente cinematografico, con una dimensione scenico-narrativa autonoma, lontana dagli spazi e dalle ambientazioni “da palcoscenico” sui quali il film musicale – da Il mago di Oz fino a Un americano a Parigi – si era dovuto in qualche modo modellare. È qui che l’originalità e la novità del film emergono chiare:l’ambientazione in spazi per lo più chiusi, quasi concettuali (gli studios cinematografici), gestiti da una regia che, scientemente, accompagna e veicola le invenzioni coreografiche, fanno di Cantando sotto la pioggia il mezzo attraverso cui il cinema ha saputo ripensare il musical, fornendogli regole e stilemi propri, sbarazzandosi così, definitivamente, del retaggio operistico-teatrale delle semplici “trasposizioni cinematografiche“ delle commedie musicali.

Enrico M. Zimara

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