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DEDESCP - locandina

Dio è donna e si chiama Petrunya – Teona Strugar Mitevska

Petrunya vorrebbe non alzarsi mai dal letto perché tanto la società non sembra accorgersi di lei e in casa la presenza della madre è da subito castrante. Non è più giovanissima, ha trentadue anni, è sovrappeso, trascurata, senza lavoro ed è laureata in storia.
La commedia agrodolce macedone di Teona Strugar Mitevska, presentata a numerosi festival e premiata dalla giuria ecumenica al Festival di Berlino, è girata e prodotta da donne con una forte protagonista e dunque, un film “al femminile”. Seppur sia svolto in un’unica giornata ha il peso e la profondità di una storia che si sviluppa in decenni riuscendo ad affrontare in modo intelligente la possibilità reale di sovvertire – oggi – le convenzioni di una società ancora fondamentalmente patriarcale attraverso gesti simbolici. Dopo l’ennesima umiliazione di non aver avuto il lavoro ed essere stata soggetto di soprusi, la perdente Petrunya si trova in mezzo ad una cerimonia ortodossa e decide di tuffarsi nel fiume gelido per recuperare la croce come il rito che si svolge ogni anno – il 19 gennaio – vuole. Ma questa corsa all’oggetto sacro viene riservata solo agli uomini.

La donna compie questo atto in maniera istintiva e naturale, senza pensieri, forse per garantirsi un anno di fortuna e prosperità come la tradizione annuncia o forse per mettersi in competizione diretta con i maschi.
Il suo gesto, considerato offensivo e insolente da tutta la comunità, rompe tutte le convenzioni e finisce per cambiare la sua vita e un po’ anche il mondo in cui vive.

Il volto e il corpo di Petrunya occuperà spesso il quadro frontalmente, sempre più sicuro di sé, sempre più consapevole del proprio ingombro e finalmente determinato a esserlo.
Gli uomini intorno (il pope, il commissario di polizia e i fanatici sconfitti), invece, vorrebbero ristabilire l’ordine e la tradizione ma finiscono sempre agli angoli del quadro, spesso fuori fuoco, rendendo vano ogni tentativo di riportare lo sguardo su di loro.

Uno stile molto studiato, che riesce a rimanere sincero, un po’ sornione nel suo assoluto controllo ma mai gratuito. Una storia raccontata e confezionata con meritevole leggerezza che modula, con suoi piani registici medi e quasi scultorei, la necessità di avere una società più giusta e più gentille.

In questo film c’è la solitudine di colore azzurro e il bianco della purezza, c’è l’imperfezione normale del corpo e la perfezione ideale della vita, c’è la durezza di chi si è allontanato dala realtà e chi riacquista il sorriso perché, forse, è possibile una nuova vita, anche se già solcata da altri.

La regista entra in un piccolo fatto di cronaca realmente accaduto (nel 2014 a Štip una donna ha trovato per prima la croce) e lo trasforma in una grande riflessione sulla difficoltà contemporanea a essere sé stessi e a trovare la propria strada, in un mondo di uomini chiusi nella loro mentalità angusta. E dunque Dio esiste e il suo nome è Petrunya.

Alexine Dayné

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