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Nancy – Christina Choe

Un dramma psicologico al femminile quello di Christina Choe, che sceglie la versatile, qui irriconoscibile, Andrea Riseborough per interpretare il personaggio tormentato e misterioso di Nancy: una giovane donna sciatta e trasandata con qualche disturbo alimentare, probabilmente legato al (non) rapporto con la madre, con una vita sociale basata su un falso profilo utilizzato sul web e in balìa di una sorte avversa, che sembra condannarla ad un’esistenza deprimente.

La fotografia fredda e scostante dell’inizio, andando di pari passo con l’evolversi del vissuto emotivo dei protagonisti, diviene sempre più calda e confortante. Persino all’interno della sceneggiatura la fotografia ha un ruolo di rilievo: è ciò che tiene vivi i ricordi dei genitori di Brooke, la bambina scomparsa trent’anni prima, ma soprattutto è il mezzo attraverso cui nuove prospettive si aprono nell’esistenza grigia di Nancy. Anche le inquadrature svolgono un ruolo importante nella narrazione: Nancy è di rado ripresa a figura intera, la Choe predilige i primi piani soffermandosi sull’espressività ambigua della protagonista e sul suo sguardo penetrante e profondo. L’allontanamento dalla claustrofobica e squallida vita in casa con la madre malata e anaffettiva è marcato dal passaggio della visione in 4:3 al widescreen.

Al cuore della vicenda, il tema dell’identità con le sue molteplici declinazioni e la tematica del doppio, espressa da Nancy attraverso la sovrapposizione sul proprio viso dell’immagine di colei che si convince di essere. I presumibili veri genitori della protagonista reagiscono differentemente di fronte al palesarsi della presunta figlia: il padre, psicologo, tratta Nancy quasi come fosse una paziente o una truffatrice da smascherare. La mamma, bisognosa di riversare verso un figlio l’affetto mancato di una vita, fin da subito si rivolge alla ragazza come se si trattasse della sua bimba scomparsa; è lei il legante che tenta di tenere insieme i pezzi, con istinto e coraggio, di questa nuova e improvvisata (temporanea?) famiglia.

La regista, anche sceneggiatrice, fornisce alla storia un taglio da thriller psicologico senza troppa tensione, bensì con una colonna sonora composta ad hoc angosciante e ipnotica, prediligendo l’intreccio di indizi, anche simbolici e metaforici (come il gatto e la passione per la scrittura e la letteratura) che lo spettatore cerca di interpretare nel tentativo di giungere alla Verità; il finale, col pianto sorridente (che disorienta e inebetisce) di Nancy, è l’ennesima conferma dell’impossibilità di farlo.

Nancy propone uno spaccato di America problematico, composto da individui alla ricerca del proprio posto nel mondo, i quali, però, si limitano solo a sopravvivere. Riporta l’attenzione sull’importanza di saper cogliere, quando arrivano e anche se rare, le bellezze che il presente, l’unico tempo che ci appartiene veramente, elargisce, realizzando che non per forza è necessario un lieto fine per trovare un po’ di felicità nella vita.

Loredana Iannizzi

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