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Gli orsi non esistono

Regista impegnato fin dagli esordi a denunciare i soprusi perpetrati dal proprio Paese, l’Iran, Jafar Panahi continua a girare film nonostante i divieti impostigli entrando e uscendo regolarmente dal carcere. Prima di venire arrestato nuovamente nel luglio 2022 per aver chiesto informazioni riguardo ad un collega detenuto senza motivo, Panahi è riuscito a terminare e a far circuitare Gli orsi non esistono, opera vincitrice del Premio Speciale della Giuria alla 79ª Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Come per Taxi Teheran e Tre volti, girati in totale clandestinità, anche in questo caso il regista si mette in scena rompendo la barriera tra spettatore e autore, confondendo inesorabilmente i confini tra finzione e realtà attraverso due storie che si intrecciano. Nella prima abbiamo Panahi alle prese con la direzione a distanza di una docufiction che la sua troupe sta girando a Istanbul. Dato che non può passare il confine, il cineasta è costretto ad affittare una piccola casa in un villaggio iraniano vicino alla frontiera turca da dove potrà seguire via pc le riprese. Nella seconda, invece, i protagonisti sono i due attori che, mentre recitano per Panahi, cercano di procurarsi documenti falsi per espatriare in Francia. A questi due filoni si intrecciano faide e litigi di una comunità legata ancora a tradizioni antiche e con le quali il cineasta sarà costretto, suo malgrado, a fare i conti.

Senza mai svelare cosa sia reale e cosa no, Gli orsi non esistono si pone come un film di tensione e di attesa, in cui la ripetitività di alcune dinamiche e il continuo intervallarsi tra piani narrativi – che arrivano quasi letteralmente ad interrompersi l’un l’altro – creano drammaticamente la sensazione di un potere presente, che incessantemente aleggia. Invisibile e basato sulla paura, come quella degli orsi. Le scene più apparentemente tranquille, come quelle quasi comiche in cui Panahi si arrampica sui tetti per trovare un poco di segnale, nascondono sempre un qualcosa di teso e pericoloso. Mentre, paradossalmente, quando crediamo possa esplodere il dramma veniamo tranquillizzati grazie alla forte presenza, fisica oltre che dialettica, del regista. È lui, infatti, che riesce a resistere alle tentazioni di una facile fuga, così come è sempre lui che non abbassa la testa anche di fronte ai litigiosi e minacciosi vicini di casa.Protetti dal suo occhio, pensiamo di poter giudicare quello che vediamo in nome di ideali di moderna giustizia, comodamente seduti in sala. Panahi, però, che vive di cinema e non si arrende ai soprusi, sa anche quando non ha senso forzare la mano ed è più saggio spegnere la videocamera. Non è un segnale di arresa o di censura, ma solo di enorme rispetto verso la vita umana.

Marco Mastino

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