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I figli degli altri

Rachel è un’insegnante sulla quarantina, divorziata e senza figli. Quando si innamora di Ali e comincia a frequentarlo, deve occuparsi anche di sua figlia Leila, cui inizia ben presto ad affezionarsi. Tra le due nasce un rapporto intenso, ma anche molto fragile, che si può interrompere in qualunque momento o essere compromesso da Alice, la madre della bambina. Ne I figli degli altri, la regista e sceneggiatrice Rebecca Zlotowski racconta così un sentimento poco ritratto sul grande schermo: il desiderio di amore materno. L’attenzione verso la protagonista fa emergere un’interiorità in cerca ancora di qualcosa per sentirsi pienamente realizzata. A incombere su di lei, c’è anche il peso della società, il senso di colpa che questa instilla a chi arriva alla sua età senza figli, insieme alla vergogna per desiderarli anche quando non si è più giovanissimi. Nella relazione con la piccola Leila, la donna troverà dunque ragione di vita, ma anche occasione per fare il punto su se stessa. La storia del film mette al centro non una relazione a due, ma a tre, anzi a quattro, comprendendo anche Alice, e corre lontano dai luoghi comuni.

Non ci sono scene di urla o di crisi esasperate tra la coppia, non odio o rabbia, ma solo reciproca comprensione delle difficoltà quotidiane. Allo stesso modo, nel rapporto con l’ex moglie di lui, a prevalere è la sintonia, piuttosto che l’astio. I figli degli altri brucia dunque lentamente, senza fretta, per come mette in scena il sorgere e lo svilupparsi di emozioni tenere, ma non per questo meno forti. Un piccolo procedimento tecnico, al giorno d’oggi raramente utilizzato, lo dimostra, quello della dissolvenza a iris: un foro circolare che si apre e si chiude intorno a una parte dell’immagine. Qui è usato per segnalare con candore l’apertura e chiusura di un nuovo capitolo della vita di Rachel. Così, si susseguono piccoli, ma evocativi scorci della sua esistenza quotidiana, fatta di momenti intensi e meno intensi, per arrivare a un finale lasciato volutamente aperto, come in una certa tradizione “naturalista” del cinema francese contemporaneo. Zlotowski realizza dunque con successo una commedia drammatica, un sottogenere molto complesso, in quanto non trasmette in modo netto divertimento o tristezza, ma si pone nel mezzo, delineando un’atmosfera malinconica che rappresenta quei sentimenti incerti a cui non sappiamo dare nome, o ragione, nella nostra vita.

Luca Sottimano

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