Cerca
cropped-favicon.png
Cerca
Close this search box.
la-persona-peggiore-del-mondo_9xkj

La persona peggiore del mondo

La persona peggiore del mondo è Julie. E’ una giovane ragazza di Oslo che alla soglia dei trent’anni cerca di capire cosa vuole dalla vita. Colleziona esperienze, cambia lavori, appartamenti e fidanzati. Si butta a capofitto in tutto e poi si stanca, s’innamora e all’improvviso si accorge che è tutto passato. E’ una ragazza come tante, senza nulla di strano, e allora perché è la peggiore del mondo?

Forse semplicemente perché nei suoi comportamenti, nel suo modo di vivere e di gestire le relazioni, riconosciamo tutti una parte di noi stessi o di qualcuno con cui abbiamo avuto a che fare nella vita. E osservandola proviamo un certo imbarazzo, fastidio o senso di colpa, come per un lato di noi (o degli altri) che disapproviamo, ci mette a disagio e risveglia emozioni e ricordi sgradevoli.

Il film di Joachim Trier – diviso in dodici capitoli più un prologo e un epilogo – è in realtà qualcosa a metà fra una commedia sofisticata e un neo-mélo pieno di idee, invenzioni e situazioni narrative. La storia di Julie diventa il pretesto per descrivere un mondo – e una generazione, quella dei trenta/quarantenni di oggi – in cui le relazioni, intese come quelle di coppia ma anche in senso più allargato, si stanno esaurendo. Dove tutto sembra rivestirsi di un senso di precarietà e aleatorietà quasi sfiancante e nulla pare destinato a durare più di un tempo limitato.

Julie è egoista, immatura, a volte infantile. E’ anche di un’onestà disarmante, in grado di vedere le cose per quelle che sono e incapace di accettare ogni condizionamento.

Il suo essere “peggiore” sta quindi nel diventare una sorta di eccezione, di rapporto di minoranza dentro un sistema di norme sociali cui appartiene ma al quale non pensa di doversi uniformare.

Percorrendo con la narrazione i luoghi più tradizionali di un rapporto di coppia – la visita ai rispettivi genitori, le vacanze con gli amici, la seduzione del tradimento, i litigi, la separazione, ecc. – Trier non risparmia nulla allo spettatore: nessuna meschinità, nessun dolore e nessuna tragedia, arrivando fino ad affrontare la morte, come approdo inevitabile.

Si aggiunge anche l’ineluttabilità delle scelte, che non sono semplicemente giuste o sbagliate, ma sempre e comunque irreparabili. Nel bene e nel male.

La sceneggiatura di Trier – scritta in collaborazione con Eskil Vogt – è una sincera lettera d’amore per gli animi vagabondi, che emana un’immensa empatia per Julie nonostante le sue battute d’arresto o i suoi difetti e non giudica mai il suo viaggio, permettendo al pubblico di formare le proprie opinioni sulle sue scelte in scenari controversi, invece di fornire una prospettiva fissa attraverso cui valutare le sue decisioni.

Alexine Dayné

Correlati