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La promessa – Il prezzo del potere

La promessa, film presentato alla 78ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, racconta la storia di Clémence, sindaca a fine mandato di una città della periferia parigina, e della sua battaglia politica, la ragione del suo impegno e del suo lavoro decennale, per cui è stata eletta per ben due volte: ottenere dallo Stato l’approvazione e l’erogazione milionaria di fondi per il piano di riqualificazione di Les Bernardines – enorme complesso residenziale occupato da centinaia di famiglie che vivono in condizioni molto precarie, in un contesto di sovraffollamento, povertà e grave pericolosità sanitaria – e del suo quartiere, da cui peraltro proviene anche il suo collaboratore e amico Yazid. Il profilo specchiato e integerrimo del politico al servizio totale ed esclusivo della collettività è però sorprendentemente minacciato quando a Clémence viene offerto l’incarico di Ministro, il quale ovviamente le impedirebbe di occuparsi ancora della sua città e del piano di riqualificazione: l’ambizione personale e il fascino sottile ma irresistibile del potere, mai prima d’ora affiorati, sono pronti a insidiare l’integrità e l’onestà morale e politica della donna, mettendo così a dura prova non solo il suo rapporto con Yazid, ma anche la stessa credibilità che negli anni ha costruito col suo elettorato e con tutti i cittadini.

L’opera di Thomas Kruithof mette in scena in modo tutto sommato coinvolgente e a tratti incalzante, dal punto di vista narrativo, il rapporto tra onestà e politica e come questo si perda e si ricongiunga continuamente, sempre in tensione fra ambizioni personali e interesse pubblico. Sotto questo profilo, il senso generale del film può esserci restituito aggiungendo al sottotitolo un punto interrogativo, di modo che la domanda “qual è il prezzo del potere?” si presenti come la vera questione che esso intende porre: cosa e quanto si è disposti a fare, o ad abbandonare (per esempio la parola data ai cittadini elettori), per un po’ di potere in più? È difficile non ripensare, assistendo allo svolgersi della narrazione, alle parole, in parte fra loro contrastanti, di Max Weber e di Benedetto Croce sulla condotta etica del politico. Sembra anzi che il regista le abbia in qualche modo ben presenti, poiché il suo atteggiamento non declina facilmente e irrimediabilmente in una – peraltro molto prevedibile e ormai scontata – sfuriata antipolitica, attestandosi invece su una posizione meno ideologica, che semplicemente restituisce una dimensione complessa e stratificata della politica, non priva di una certa ammirazione e rispetto.

Enrico M. Zimara

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