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Quel giorno tu sarai

Quel giorno tu sarai, film diretto da Kornél Mundruczò, è il racconto – scandito in tre episodi – delle vicende vissute da tre generazioni di una famiglia ebrea, un racconto che abbraccia un arco temporale che dalla Seconda Guerra mondiale arriva fino alla Berlino dei giorni nostri. La prima generazione è quella di Éva, venuta fortunosamente alla luce all’interno di un campo di concentramento dal quale è riuscita a sopravvivere. L’ultima è quella di Jonas, suo nipote, che nella Berlino globale e multietnica degli anni Duemila può condurre una vita libera e, almeno apparentemente, lontana dagli orrori del passato della Germania nazista.

L’opera, che nella versione originale porta più significativamente il titolo di Evolution, intende offrire una riflessione sofferta, ma lucida e ben meditata, sul modo in cui un passato così tragico e ingombrante come quello dell’Olocausto possa determinare, radicalmente e pervasivamente, la costruzione dell’identità, personale e collettiva, degli ebrei. L’essere ebreidopo il 1945 per Mundruczò significa, attraverso la tripartizione che compone le diverse tappe della narrazione, intessere la trama di quel rapporto tra identità e memoria che costituisce ognuno di noi e dunque dare conto del diverso modo in cui esso si instaura nei vari personaggi, tema fondamentale dell’opera. Agendo sullo sfondo della sentenza adorniana sull’impossibilità, dopo Auschwitz, di produrre ancora arte e pensiero, il regista, più che risolvere dialetticamente il tema, sosta – grazie alla tecnica del piano sequenza – su di esso, dando forma in questo modo a una “poetica del trauma”, a una contemplazione spietata e sublime di una ferita mai completamente chiusa – esattamente quello spazio contraddittorio e doloroso tra memoria e identità – che non riesce mai a essere completamente suturata, né dalle generazioni passate né da quelle future.

Dal momento che dove c’è il trauma c’è inevitabilmente anche la sua rimozione, lo iato tra identità e memoria si tramuta, in un caso, in una forma di relativismo autobiografico che antepone i propri vissuti a quelli familiari e storici ( “È la tua verità” dice la figlia Lena alla madre anziana deportata), o, nel secondo caso, si espande sempre più in una vuota insignificanza, anticamera dell’oblio (non è certo un caso che Eva, la vera custode dei ricordi e della storia della famiglia, sia malata di Alzheimer).

Definito da alcuni critici come un’“esperienza immersiva”, Quel giorno tu sarai è senza dubbio un film riuscito, stilisticamente quasi eclettico, perché in grado di alternare a scene di grande potenza visiva un’atmosfera da opera teatrale, capace di evocare alcune scene di Brodo di pollo con l’orzo di Arnold Wesker.

Enrico M. Zimara

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