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Kafka a Teheran

Presentato in anteprima lo scorso maggio al 76º Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, unico film iraniano presente alla kermesse, Kafka a Teheran, il cui titolo originale si ispira a Versetti terrestri della poetessa Forough Farrokhzad, voce contraria alle autorità religiose negli anni Sessanta, è il racconto di nove storie di vita quotidiana che prendono forma nella capitale iraniana contemporanea. 

L’opera si concentra sulle vicende di persone comuni appartenenti a differenti ceti sociali, che si muovono tra vincoli culturali, religiosi e istituzionali, imposti loro da diverse autorità quali possono essere gli insegnanti e i burocrati. Realizzato nell’arco di una settimana, tra settembre 2022 e i primi mesi del 2023, Kafka a Teheran non è rimasto indifferente alla morte di Mahsa Amini, la ragazza uccisa perché non indossava correttamente il velo, evento che ha ulteriormente acceso i riflettori sulla condizione femminile nel Paese. Guardando attraverso la lente dell’umorismo, i due registi, Ali Asgari e Alireza Khatami, aprono allo spettatore diverse finestre sulla vita quotidiana della città, mostrando la pervasività e il controllo del regime, anche nelle situazioni più assurde.

Conosciutisi nel 2017 in occasione della 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dov’erano gli unici due iraniani, Asgari e Khatami hanno avuto l’idea per il film a partire dalla frustrazione di quest’ultimo per il veto posto poco prima dell’inizio delle riprese dal Ministero della cultura e dell’orientamento islamico a un progetto a cui aveva lavorato per anni. Ispirandosi al genere classico del dibattito tipico della poesia persiana e prendendo spunto da episodi vissuti in prima persona o accaduti ai loro conoscenti, i due autori hanno così steso nell’arco di una settimana una prima sceneggiatura che poco dopo hanno cominciato a girare con mezzi propri per non aspettare un’altra autorizzazione da parte del Governo.

Composto da ininterrotti long take statici, tecnica pensata per ridurre al minimo l’utilizzo del montaggio in post-produzione, con le sue inquadrature lunghe e semi-fisse il film si concentra sull’elemento del dialogo, che gli attori hanno fedelmente riprodotto a partire dalla sceneggiatura senza concedersi improvvisazioni. Kafka a Teheran affronta così la mancanza di libertà e di punto di vista sul mondo iraniano, sfruttando l’elemento straniante e onirico, ironico e realista, del cinema come presa di posizione politica.

Con una grande consapevolezza estetica del linguaggio cinematografico, Asgari e Khatami delegittimano il regime e le sue oppressioni, ricordandoci ancora una volta che è proprio la Bellezza, quella sublime capacità di preservare il buono in ognuno di noi, a poter salvare il mondo. 

Valeria De Bacco

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