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La bella estate def

La bella estate

Presentato in anteprima mondiale lo scorso agosto al Locarno Film Festival, nella sezione Piazza Grande che ogni sera con il suo schermo gigante può accogliere fino a ottomila spettatori, La bella estate è il terzo lungometraggio dopo Febbre da fieno del 2010 e Fiore gemello del 2018 realizzato dall’autrice romana Laura Luchetti, che ne cura regia e sceneggiatura. La storia è liberamente tratta dall’omonima novella di Cesare Pavese che dà il nome alla raccolta pubblicata nel 1949 e con cui lo scrittore nel Cinquanta vince il Premio Strega.

Torino, 1938. La Seconda Guerra mondiale è ormai alle porte dell’Europa, cogliendo la sedicenne Ginia – Yile Yara Vianello – alle prese con un’adolescenza su cui incombono le ombre del conflitto, ma anche i primi accenni di amore e desiderio. Da poco trasferitasi in città dalla campagna, alla ragazza il futuro sembra offrire infinite possibilità e in quest’atmosfera di energia giovanile anche lei desidera esplorare il sentimento nuovo che sente nascere dentro di lei. È in un giovane pittore che trova l’amore, ma è in realtà la sensuale e provocante Amelia – Deva Cassel, figlia di Monica Bellucci e Vincent Cassel, al suo debutto sul grande schermo – a introdurla negli ambienti artistici della Torino bohémien. Amelia, poco più grande di Ginia e diversa da tutte le persone che la ragazza ha conosciuto finora, metterà in discussione tutte le sue certezze. Divisa tra il senso del dovere e la scoperta di un desiderio che la confonde, Ginia è travolta da emozioni a cui non osa dare un nome ed è proprio durante la sua “bella estate” che si arrende finalmente ai propri sentimenti, celebrando il coraggio di essere se stessa.

Romanzo di formazione, il libro di Pavese mostra oggi sul grande schermo tutta la sua modernità. Come affermato dalla stessa Luchetti, «Il meraviglioso sguardo “femminile” di Pavese sul mondo, sui desideri, sull’amore e sugli uomini è il punto di partenza dell’adattamento cinematografico. Un salto fatto con amore e terrore. Il romanzo di Pavese, scritto circa ottantacinque anni fa, mi ha parlato alla prima lettura. Mi è sembrato subito cosi universale, cosi moderno». L’opera non è solo la storia di una giovane donna che cerca se stessa e deve fronteggiare il timore di non essere all’altezza, è anche un film sulla rappresentazione, sul desiderio di esser visti attraverso gli occhi di un’altra persona, essere dipinti e immortalati, in altre parole esistere. Questo bisogno sentito dalla protagonista negli anni Trenta del secolo scorso assomiglia incredibilmente alla necessità di avere oggi il proprio ritratto sui social, guardato, commentato e apprezzato.

Lasciati da parte per una volta i personaggi maschili, fragili predatori, la vicenda di Ginia e Amelia è dunque la storia universale di ogni ragazza, colta nel tormentato momento in cui scopre la propria sessualità e si affaccia alla vita adulta, scegliendo chi e come amare, libera dalle convenzioni e dai giudizi sociali.

Valeria De Bacco

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