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200 metri

I coniugi Mustafa e Salwa vivono in due paesini palestinesi distanti appena duecento metri, ma divisi dalla barriera di separazione israeliana. L’uomo per principio non vuole prendere la cittadinanza israeliana che gli permetterebbe il libero transito, costringendo così la famiglia a una relazione a distanza. Quando uno dei suoi figli rimane in gravi condizioni in seguito a un incidente, l’uomo dunque per raggiungerlo non può far altro che chiedere aiuto ai contrabbandieri e imbarcarsi in un viaggio di oltre duecento chilometri, necessario per aggirare il muro. Il film d’esordio di Ameen Nayfeh, presentato in anteprima il 3 settembre 2020 alle Giornate degli autori della 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, racconta lo scontro insanabile vissuto dal protagonista, in questo quadro paradossale, tra il tenere fede ai propri ideali e i doveri come genitore.

Mustafa (l’ottimo Ali Suliman) appare all’inizio come un padre negligente, per come la sua scelta rende la vita difficile alla moglie e ai figli. Capiamo però nel corso delle vicende come questa sia una risposta a una legge che mina la libertà di spostamento delle persone. Così, per fare una buona azione, per ricongiungersi coi propri cari, è necessario assoggettarsi a regole ingiuste oppure ricorrere all’illegalità. Il regista sceglie di aderire quasi sempre al punto di vista del protagonista, trasmettendo le sensazioni da lui provate in un’odissea che si tramuta in un calvario vero e proprio. Occasione in cui il suo sguardo, e con esso di conseguenza anche il nostro, si apre nei confronti di chi gli sta accanto. Con lui infatti viaggiano un ragazzino in cerca di lavoro, un attivista palestinese e una regista tedesca che sta realizzando un documentario. Chi desidera autonomia e un futuro migliore, chi lotta per i propri diritti e chi cerca di dare un senso a ciò che vede, col rischio di subire ritorsioni. Tutte belle speranze che svaniscono di fronte alla nuda e cruda realtà dei fatti. In 200 metri i toni lirici della prima parte confluiscono nel duro road movie della seconda, ma senza mai farsi esasperati, veicolando sempre il clima di malinconica rassegnazione dei protagonisti. Questi sembrano ormai accettare la situazione in cui si trovano, che a noi sembra incredibile, ma che per loro è solo la semplice quotidianità. Il film, in questo modo, non cerca né fornisce facili via di fuga per i suoi protagonisti o per gli spettatori, risultando un lucido ritratto in cui la dimensione privata diventa specchio di quella sociale.

Luca Sottimano

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