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Babyteeth – Tutti i colori di Milla

Denti da latte (babyteeth) che non vogliono cadere: un simbolo dell’infanzia che stenta a lasciare il posto all’età adulta; analogamente, la perdita degli stessi come un momento di passaggio e di crescita. Shannon Murphy esordisce con un lungometraggio basato sulla non di certo originale trama legata ad una storia di malattia in giovane età e di amore tra teenager in cui però ad essere al centro della narrazione non è la patologia, spesso solo accennata implicitamente.

Solo alla fine, quando è difficile trattenere le lacrime, protagonisti e spettatori affrontano la tristezza derivante dall’ineluttabile destino legato alla malattia terminale che colpisce la giovane Milla. La sceneggiatrice del film è Rita Kalnejais, autrice dell’opera teatrale omonima: una divisione in capitoli titolati scandisce la vicenda in “atti”, con lo sguardo rivolto in macchina della ragazza che ammicca e abbatte la quarta parete costringendo lo spettatore ad entrare nell’intimo della sua storia in maniera però leggera e quasi comica.

Milla resta affascinata a prima vista da Moses, un ragazzo sbandato e all’apparenza poco raccomandabile che, come lei, sembra non aver più nulla da perdere. Fin da subito l’attrazione per lui le fa intraprendere un cammino completamente divergente rispetto a quello percorso fino a quel momento: la spinta alla vita la immobilizza di fronte alle sliding doors di quella metropolitana che sceglierà di non prendere ma che segneranno l’inizio del susseguirsi di una serie di tappe percorse con entusiasmo, nonostante il presagio di morte che incombe, accorcia i tempi e quindi in qualche modo la costringe a crescere velocemente e a liberarsi dei “denti da latte”.

Ed è proprio la fame di vita e di esperienze a dare un senso nuovo alle giornate di Milla accanto al giovane, momenti vissuti grazie al superamento delle resistenze dei borghesi e solo apparentemente felici genitori della giovane: un ultimo regalo d’amore per la figlia. Quello su Milla e Moses è il racconto di un sentimento acerbo che vediamo maturare, in modo fresco e naturale: un amore “malato” perché, ognuno a suo modo, malati sono gli amanti; un affetto curativo, che si fa tramite e portavoce di un messaggio di speranza per coloro che “resteranno”, coloro a cui la vita ha riservato ancora tempo.

La fotografia gioca con i colori del titolo della versione italiana: quelli dei capelli e soprattutto delle parrucche di Milla, punto di legame e contatto con il ragazzo fin dai primi istanti, quelli dei vestiti, quelli degli occhi protagonisti dei numerosi primi piani. A creare le giuste atmosfere che vanno dalla leggerezza della gioventù al pathos della tragedia è la colonna sonora: la musica spazia tra generi diversi oltre ad essere all’interno della narrazione l’elemento primario che unisce (ma anche slega) la giovane e sua madre.

Il film stimola inesorabilmente riflessioni sulla caducità della vita, mostrando alcune tra le svariate strade percorribili per reagire al lutto e ricordandoci dell’importanza di far valere il tempo che si ha a disposizione, ogni singolo giorno.

Loredana Iannizzi

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